“Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare”.
Nella sua lirica, una delle più conosciute, D’Annunzio descrive una pratica cui da bambino aveva assistito tante volte: la migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori che si spostano da posti collinari a zone pianeggianti più miti. Una pratica che vive ancora oggi con modalità di trasporto differenti, camion o autotreni attrezzati, e che è ora patrimonio culturale immateriale dell’umanità per decisione unanime del comitato del patrimonio mondiale dell’Unesco, riunito a Bogotà.
La candidatura della Transumanza, che ha visto l’Italia capofila di una alleanza con Grecia e Austria, è stata avanzata nel 2017 per tutelare un’antica pratica che affonda le sue radici sin dalla preistoria, ancora oggi diffusa sia nel Centro e Sud Italia, dove sono localizzati i Regi tratturi, partendo da Amatrice e Ceccano nel Lazio ad Aversa degli Abruzzi e Pescocostanzo in Abruzzo, da Frosolone in Molise al Gargano in Puglia. Pastori transumanti sono ancora in attività anche nell’area alpina, in particolare in Lombardia e nel Val Senales in Alto Adige.
Soddisfatto del grande risultato il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, che evidenzia “la forte volontà da parte del governo di rafforzare i riconoscimenti Unesco in ambito ambientale”. “In questa logica – spiega – con il decreto legge clima, approvato in via definitiva dalla Camera, abbiamo istituito i ‘caschi verdi per l’ambiente’, una task force di esperti mondiali con il compito di salvaguardare e promuovere proprio i valori naturalistici dei siti riconosciuti dall’Unesco patrimonio dell’umanità, stanziando 6 milioni di euro in tre anni per supportare le comunità e i territori chiamati a gestirli”.
Il ministro Costa non manca di sottolineare i benefici della transumanza come pratica “rispettosa del benessere animale” e al tempo stesso “esempio straordinario di approccio sostenibile per affrontare le sfide poste dalla rapida urbanizzazione e dalla globalizzazione e ha contribuito in modo significativo a modellare il paesaggio naturalistico”.
Anche per Coldiretti è un “importante riconoscimento che conferma il valore sociale, economico, storico e ambientale della pastorizia che coinvolge in Italia ancora 60mila allevamenti nonostante nell’ultimo decennio il “gregge Italia” sia passato da 7,2 milioni di pecore a 6,2 milioni perdendo un milione di animali”.
“Il riconoscimento tutela un’attività ad elevato valore ecologico e sociale poiché – continua la Coldiretti – si concentra nelle zone svantaggiate e garantisce la salvaguardia di ben 38 razze a vantaggio della biodiversità del territorio, dalla rustica pecora sarda alla pecora Sopravissana dall’ottima lana, dalla Brogna con testa e gli arti privi di lana alla pecora Comisana con la caratteristica testa rossa, dalla gigantesca Bergamasca fino a quella massese dall’insolito manto nero che rappresentano un patrimonio di biodiversità il cui futuro è minacciato da un concreto rischio di estinzione”.
Bale
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