Uno dei più grandi iceberg mai osservati, più vasto della Liguria, si è staccato dalla banchisa dell’Antartide tra lunedì 10 e oggi. Ad annunciarlo è Project MIDAS, un’associazione britannica che segue da tempo la situazione della calotta polare antartica.
L’annuncio è stato confermato dalle osservazioni svolte per conto della NASA dal satellite Aqua, equipaggiato con sensori a infrarossi che riescono a captare la minima variazione anche nel buio della notte polare.
L’iceberg copre una superficie di quasi 5.800 chilometri quadrati, è spesso tra i 200 e i 600 metri e pesa circa un miliardo di tonnellate. Si è staccato dalla piattaforma Larsen C, la sezione più grande e più a sud – quindi più vicina al Polo e più fredda – della banchisa sulla costa est della penisola Antartica.
A tenere sotto controllo i suoi spostamenti e il suo lento ma inarrestabile scioglimento c’è anche l’ESA, con i satelliti Sentinel. La fusione dell’iceberg “non avrà effetti immediati sull’innalzamento dei mari”, promettono gli esperti di MIDAS, perché tutto quel miliardo di tonnellate di ghiaccio faceva già parte di una piattaforma galleggiante, quindi si trovava per la maggior parte sotto il pelo dell’acqua. Ma resta una ferita insanabile alla banchisa antartica. La piattaforma Larsen C, prima del distacco, copriva circa 50 mila chilometri quadrati, quindi ha perso circa il 12 per cento della sua superficie.
Il sistema delle piattaforme Larsen prende il nome dal capitano norvegese che esplorò questi mari alla fine dell’Ottocento. È una delle regioni della calotta glaciale antartica che gli scienziati conoscono meglio. Questo perché la penisola Antartica – a sud della punta del Sudamerica, da cui la divide il canale di Drake – è una delle poche parti del continente che raggiungono latitudini a nord del Circolo polare antartico, il che rende la vita quotidiana, e l’attività degli scienziati, appena meno difficile che nel resto dell’Antartide.
Delle tre sezioni, la prima a scomparire è stata la A, a metà degli anni ’90. La disintegrazione della B – stabile da almeno diecimila anni, cioè dalla fine dell’ultima glaciazione – è avvenuta invece in modo repentino nei primi mesi del 2002, con grande sorpresa della comunità scientifica, che si aspettava una fusione più lenta. Ora si teme che lo stesso destino attenda anche la C.
Gli scienziati ritengono che l’attività dell’uomo abbia almeno accelerato la fusione delle calotte polari, nel quadro più generale del riscaldamento globale. La perdita di vaste superfici ghiacciate, oltretutto, aggrava la situazione, perché l’acqua del mare assorbe più calore dal Sole rispetto al ghiaccio.
F.M.R.
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