E’ una delle tre grane, insieme alla crisi libica e ad un eventuale mancato accordo sulla prescrizione, dove potrebbe scivolare e andare a casa il governo Conte bis. Parliamo ovviamente della revoca delle concessioni alla società Autostrade della famiglia Benetton. La crescita esponenziale di incidenti, crolli, analisi impietose ed un rischio generalizzato di paralisi del sistema autostradale facente capo all’Aspi del gruppo Atlantia, è ormai un dato di fatto che necessita di risposte concrete che il governo, al momento, non riesce a delineare con chiarezza e unicità di idee e di intenti.
Da una parte c’è il ministro degli esteri nonché leader dei Cinquestelle Luigi Di Maio. Dopo la tragedia del ponte Morandi a Genova, riprendendo un tema caro al Movimento e cioè quello della guerra ad oltranza ai gruppi “vampiro” della società e dell’economia italiana, disse subito “basta” ai favori fatti, negli anni, ai padroni di Treviso da sempre nel cuore della sinistra di potere e del Pd in particolare.
A complicare un po’ le cose e soprattutto a complicare la possibilità di scalfire il muro di granito che protegge oltre ragionevole dubbio i Benetton, la composizione all’epoca del primo governo Conte dove a bilanciare i grillini c’era la Lega di Salvini sempre un po’ tiepida nei confronti di interventi radicali in materia di autostrade.
Ma dopo il disastro del 14 agosto 2018 il partito della revoca era cresciuto. Così come era montata la determinazione a chiudere una partita politica delicata, ma tecnicamente risolvibilissima visti i rilievi e le raccomandazioni che arrivavano dall’Europa, dal ministero dei Lavori pubblici, dalla Corte dei conti dalle associazioni di categoria, dagli esperti e dalle segreterie di partito. Anche le più riluttanti a prendere posizione contro un gruppo ‘amico’, cui la complicità di tanti politici e gruppi di pressione (anche editoriali) ha consentito di guadagnare più di cento miliardi di utili netti in poco meno di venti anni.
Sì, proprio così: duecentomila miliardi delle vecchie lire. Tutti cash, pagati dagli italiani per un sistema colabrodo e pericoloso, come rivela l’ultima relazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici presieduto da Donato Carlea, subito cacciato dopo l’arrivo del nuovo ministro Pd, Paola De Micheli.
Dopo gli strilli del leader grillino che invita gli alleati a “non fare scherzi”, tiene banco la ‘goccia’ del Pd che da mesi trama per non toccare i Benetton. Mai una presa di posizione chiara, ma solo battute interlocutorie e sibilline. Manca sempre qualcosa per poter entrare in un “merito” che nelle intenzioni di Zingaretti e compagni non dovrebbe arrivare mai.
E di fronte ad un ministro dei lavori pubblici con le spalle al muro per l’ignobile ‘indecenza” che trasuda dalla politica omicida dei Benetton, il Pd traccheggia stretto tra proposte risibili come la “maximulta” da far pagare al gruppo trevigiano ed una riduzione di tariffe pirata in alternativa al ritiro delle concessioni come se queste ultime proposte potessero compensare il sangue delle decine di vittime provocate dalle inadempienze contrattuali e dal cinismo becero di imprenditori sempre sfacciatamente favoriti e protetti, a partire dal 2000, quando i Benetton ricevettero in dono, per un pugno di lenticchie, un “gioiello” patrimoniale statale immenso che l’Europa ci invidiava. Tutto incamerato, è bene ricordarlo, grazie ai buoni auspici di Romano Prodi, di Giuliano Amato e del presidente del Consiglio dell’epoca, il post-comunista Massimo d’Alema.
Enzo Cirillo
Voglio sperare che il lavoro estenuante svolto dall’ing. Carlea in un solo anno, non sia stato vano e che i politici adottino i dovuti provvedimenti sulla scorta della relazione redatta dal Consiglio Superiore dei LL.PP. Tuttavia è deprimente prendere atto ancora una volta e con sommo rammarico che anche in quest’anno di Presidenza , il lavoro svolto con passione e sacrificio dall’Ing. Carlea e a me abbastanza noto ormai da oltre un decennio, quasi sicuramente ha scontentato diversi vertici della Politica Nazionale. Francesco Cardinale
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