Cesare Battisti, l’ex terrorista dei Pac arrestato a gennaio dopo quasi 40 anni di latitanza, ha ammesso per la prima volta, davanti al pm di Milano, Alberto Nobili, di essere responsabile dei 4 omicidi per cui è stato condannato.
Il procuratore Francesco Greco ha spiegato ai cronisti che su richiesta dello stesso Battisti, assistito dal legale Davide Steccanella, tra sabato e domenica scorsi l’ex terrorista è stato interrogato nel carcere di Oristano, dove è detenuto da gennaio quando venne arrestato in Bolivia. Nell’ambito dell’interrogatorio “sulle modalità della sua latitanza”, ha chiarito il procuratore, “Battisti ha ammesso di avere partecipato direttamente a 4 omicidi, di cui in due è stato esecutore materiale”. Si tratta di 4 omicidi per cui è stato condannato all’ergastolo. Il capo del pool anti terrorismo milanese Alberto Nobili, che lo ha interrogato, ha chiarito che “qua non si tratta di una collaborazione con la giustizia, ma di importantissime ammissioni arrivate da un ‘irriducibile’ che ha barato per 37 anni e si è reso latitante, dichiarando di essere innocente e di essere un perseguitato politico”. Nell’interrogatorio Battisti ha precisato “che avrebbe parlato solo di se stesso – ha spiegato Nobili – dopo che l’avvocato Steccanella gli ha fatto avere in carcere ad Oristano tutte le sentenze sui Pac”. Nobili ha spiegato ancora che “per la prima volta in assoluto Battisti ha deposto queste dichiarazioni su questi fatti, dato che quando venne emesso l’ordine di cattura per gli omicidi lui era già latitante perchè era evaso nell’81 dal carcere”.
“Mi rendo conto del male che ho fatto e chiedo scusa ai familiari” delle vittime. E’ quanto ha detto Battisti al pm Nobili, responsabile dell’anti-terrorismo a Milano, che coordina le indagini sulle presunte coperture che l’ex terrorista dei Pac ha avuto durante la latitanza.
Chi è Battisti. Classe 1954, originario di Cisterna di Latina, ha militato tra i Proletari Armati per il Comunismo; ha al suo attivo in Italia quattro condanne all’ergastolo per altrettanti omicidi, compiuti tra il 1978 e il 1979. Battisti è accusato di aver preso parte all’omicidio di Antonio Santoro, maresciallo del carcere di via Spalato, a quello del gioielliere Pierluigi Torregiani, a Milano, per il quale è stato condannato come mandante e ideatore, e quello del macellaio Lino Sabbadin a Mestre, per il quale Battisti ha fornito copertura armata. Inoltre è accusato di essere anche l’esecutore materiale dell’omicidio di Andrea Campagna, agente della Digos di Milano, ucciso il 19 aprile del 1978.
In fuga per 37 anni, è stato arrestato nel gennaio scorso mentre camminava per le strade di La Cruz, in Bolivia, dove si era rifugiato in fuga dal Brasile che aveva appena registrato la vittoria del candidato di estrema destra Jair Bolsonaro: il vincitore delle presidenziali aveva appena annunciato l’intenzione di consegnare l’ex terrorista alle autorità italiane. Poi è arrivata, a metà dicembre, la decisione di farlo arrestare, presa dal Supremo tribunale federale (Stf), “per evitare il pericolo di fuga in vista di un’eventuale estradizione”. Ma Battisti aveva già lasciato il Brasile: a Cananea, sulla costa di san Paolo, dove risiede, non lo vedevano da novembre. A metterlo in allarme erano stati, tra l’altro, i continui annunci pubblici della sua imminente cattura. Estradato in Italia, subito dopo il suo arresto, Battisti è rinchiuso nel supercarcere di massima sicurezza ad Oristano.
Il suo legale, Davide Steccanella, nel mese di febbraio ha depositato alla Corte d’Assise d’Appello di Milano tre memorie per chiedere, tramite un incidente di esecuzione, di applicare gli accordi di estradizione Italia-Brasile che prevedevano una pena di trent’anni, anziché il carcere a vita.
Nel chiedere di commutare la pena inflitta, la difesa dell’ex terrorista sostiene dunque che debba essere applicata la legge brasiliana che, diversamente da quella boliviana, non prevede il carcere a vita. Questo perché, come viene spiegato nel documento depositato dall’avvocato Steccanella, la Bolivia avrebbe violato alcune regole procedurali nell’espellere il ricercato: innanzitutto, non ha atteso i tre giorni dopo la cattura imposti dalla legge boliviana perché fossero inoltrati eventuali ricorsi e poi perché avrebbe dovuto inviare Battisti nel Paese d’origine che risultava essere il confinante Brasile, dal quale Battisti aveva fatto ingresso in Bolivia, come attestava il regolare documento d’identità brasiliano in suo possesso e dove vivevano moglie e figlio.
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