La ripresa resta fragile. Anzi. Nel suo bollettino economico periodico, la Bce non esita a dire che esistono “ulteriori rischi al ribasso per le prospettive di crescita e di inflazione, conseguenti al recente aumento della volatilità nei mercati finanziari”.
“Un’analisi dei recenti dati, le ultime proiezioni macroeconomiche” formulate dagli analisti e una “valutazione provvisoria delle recenti oscillazioni nei mercati” segnalano la “perdurante, ancorché lievemente più debole, ripresa economica nell’area dell’euro e un incremento dell’inflazione più contenuto rispetto alle precedenti aspettative”.
Sul lungo periodo invece la ripresa dell’area dell’euro dovrebbe proseguire, “sebbene a un ritmo in certa misura più debole di quanto previsto in precedenza” considerato il “rallentamento delle economie emergenti, che grava sulla crescita mondiale e, di conseguenza, sulla domanda di esportazioni dell’area dell’euro”.
Resta però prematuro per il Consiglio direttivo la valutazione se “i recenti andamenti economici e dei mercati finanziari siano tali da esercitare un impatto durevole sul conseguimento di un profilo sostenibile di inflazione verso il proprio obiettivo di medio termine o se vadano considerati essenzialmente temporanei”.
Il Consiglio dunque ribadisce la propria “volontà e capacità di agire, se necessario” ricorrendo a tutti “gli strumenti disponibili nell’ambito del proprio mandato”. Sempre l’eurotower sottolinea che “il programma di acquisto di attività consente sufficiente flessibilità per adeguarne dimensioni, composizione e durata”. Questo a conferma del fatto che il QE non dovrebbe subire nuovi cambi in corsa nel breve periodo, almeno.
Non manca un richiamo all’Italia, tra i 12 paesi su 17 che per gli economisti di Francoforte sono a rischio di inosservaza dei requisiti di sforzo strutturale previsto dal patto di stabilità e crescita.
Questi Stati dovranno avvicinarsi ai rispettivi obiettivi di bilancio a medio termine con “misure strutturali pari complessivamente allo 0,2 per cento del PIL nel biennio 2015-2016”. Pertanto, le raccomandazioni relative alle politiche di bilancio richiedono a otto Stati membri (Belgio, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Austria e Finlandia) di “compiere sforzi strutturali commisurati al meccanismo preventivo del PSC” e per due paesi, Belgio e Italia, “si rileva inoltre un consistente ritardo nell’azione di risanamento necessaria ai fini della regola sul debito”.
Se il programma verrà rispettato, nel 2015 il miglioramento del saldo strutturale, sempre secondo la Bce, “dovrebbe ammontare al 2,1 per cento del PIL per l’Italia a causa dei ritardi nel risanamento accumulati dal 2013, rispetto alla previsione di uno sforzo strutturale pari allo 0,3 per cento” e all’”1,1 per cento del PIL nel caso del Belgio per effetto dei ritardi accumulati dal 2014, a fronte di una previsione di misure strutturali pari allo 0,5 per cento del PIL”.
Una deviazione dalla regola del debito che, per il 2015, è stata consentita grazie alle valutazioni della Commissione, che ha ritenuto fattori rilevalti le sfavorevoli condizioni economiche e l’attuazione delle riforme strutturali. Tuttavia, dalle valutazioni fatte, risulta che molti paesi abbiano collocato la spesa per interessi “al di sotto di quanto inizialmente indicato nei bilanci di previsione” e al tempo stesso “anziché impiegare i risparmi così conseguiti per accelerare l’aggiustamento del disavanzo, hanno aumentato la spesa primaria”.
Il richiamo, anche se sotto forma di invito, diventa più chiaro: “si consiglia ai paesi che registrano un elevato rapporto tra debito delle amministrazioni pubbliche e PIL (Belgio, Francia, Italia, Irlanda e Portogallo) di utilizzare eventuali disponibilità straordinarie, connesse a una spesa per interessi inferiore alle attese, per la riduzione del disavanzo”.
Il percorso, dunque, è meno in discesa di quanto possa apparire: le possibilità sussistono, per gli analisti, anzi, la Bce è pronta a intervenire qualora le politiche monetarie messe in piedi non soddisfino più le esigenze della ripresa. Ancora una volta, l’aspettativa è che i Paesi intervengano con concretezza su riforme e interventi strutturali che aumentino la produttività, anche quelli che hanno già soddisfatto gli obiettivi di bilancio a medio termine, come la Germania – esortata a incrementare ulteriormente gli investimenti pubblici in infrastrutture, istruzione e ricerca – e i Paesi Bassi – incoraggiati a dirottare maggiori risorse verso ricerca e sviluppo.
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