Garcia: una predica in un deserto gialloblu
C’è stata la reazione d’orgoglio, la rimonta, ma il tutto quando i buoi erano ormai usciti dalla stalla. Per la Roma e Garcia si è chiusa con un allarmante sconfitta per 3-2 quella che doveva essere la trasferta meno complicata dell’intero girone di Champions. Non certo il modo migliore per festeggiare le 100 panchine giallorosse del tecnico francese, immediatamente salito sul banco degli imputati come colpevole numero uno anche al di là di propri pur evidenti demeriti. Il proliferare di hashtag al grido di garciavattene racconta meglio di qualunque discorso il clima di generalizzata insofferenza che serpeggia tra i tifosi della “magica”.
Di errori, in effetti, Garcia ne ha commessi più d’uno: dal proporre una formazione troppo sbilanciata in avanti, alla regia affidata a chi regista non è (il povero Nainggolan, costretto, già in periodo per lui non brillantissimo, a cantare e a portare la croce), al sacrificio di Florenzi nel ruolo di terzino che l’eccellente quanto duttile esterno destro può ricoprire con ottimo profitto in un campionato come il nostro dove i ritmi sono generalmente molto più blandi e le avversarie di turno spesso in soggezione e portate ad arroccarsi dietro rinunciando anche all’ipotesi di impostare una gara d’aggressione, fino alle sostituzioni tardive (vedi gli inserimenti di Iago Falque e Torosidis con conseguente avanzamento di Florenzi passato da vittima designata delle scorribande di Mladenovic al ruolo di quasi eroe con la traversa che poteva valere il 3-3) e, persino, ma troppo facile dirlo con il senno del poi, alla scelta dell’estremo difensore: Szczesny non era ancora pronto dopo il recupero-lampo ma, nel dubbio, non si capisce allora perché non riproporre un De Sanctis verosimilmente con il morale alle stelle anche per il rigore neutralizzato con il Carpi. Sabato scorso, non un mese fa.
Al netto di queste, pur doverose considerazioni, resta l’impressione che ci sia qualcosa che anche quest’anno non funziona a dovere nella preparazione atletica. Il Bate Borisov, comunque molto meno scarso tecnicamente di come era stato dipinto ma pur sempre squadra modesta, finchè ha avuto benzina nel serbatoio ha spinto a ritmi irraggiungibili per i capitolini. Escluso che in una competizione così importante (e remunerativa) come la Champions si possa esser incorsi in un grossolano errore di sottovalutazione dell’avversario anche perché la rosa ristretta all’osso (solo 16 i convocati, uno in meno del massimo consentito, vuoi per gli infortuni e vuoi per le restrizioni imposte dal fair play finanziario) e il recente ruolino di marcia dei bielorussi tra le mura amiche (tre vittorie nelle ultime tre gare casalinghe) consigliavano massima cautela ed attenzione, rimane in piedi solo l’ipotesi di una scarsa abitudine a fronteggiare avversari capaci, tanto quelli più raffinati (come il Barcellona) quanto quelli meno dotati (come il Bate, per l’appunto), di imporre gioco e velocità (che, nel caso dei catalani, è circoscritta al giro-palla, mentre il Bate fa correre molto di più i propri giocatori) sconosciuti alle nostre latitudini. In questo, certamente, il nostro campionato aiuta poco e ti abitua male. Ma è anche un dato ormai tristemente noto. Il furore agonistico internazionale è altra cosa. E anche i nostri tecnici dovrebbero (?) averlo imparato. Non sono un caso i tonfi assordanti della Lazio a Leverkusen o della Sampdoria contro il Vojvodina. Il gap tra noi e loro è principalmente atletico, prima ancora che tecnico o tattico. Altrove si imposta la preparazione per una partenza stagionale sprint, da noi si ragiona in termini di gran fondo. Conveniente se si è ancora in pista in primavera. Ma poi, a marzo e dintorni, bisogna rispondere presente. E i rischi di rimanere davanti alla Tv a fare i “guardoni” delle altrui gesta sono enormi.
Chiaro che poi, finita la birra, i bielorussi siano tornati sul pianeta terra e si siano limitati ad una ripresa di mero (e spesso affannoso) contenimento, limitando le ripartenze ad un paio di folate individuali (ma quanto corre Volodko?). Lì la Roma, che ha potuto far valere la propria superiorità tecnica, deve essersi anche mangiata le mani perché con una manciata di minuti in più a disposizione il pari sarebbe arrivato quasi per forza d’inerzia. Tradotto: sarebbe bastata solo un po’ d’attenzione in più nel primo tempo e, più in generale, una maggior presenza agonistica per avere un risultato finale ben diverso.
Una piccola mano ai giallorossi l’ha data il Barcellona, capace (ma al prezzo dell’infortunio di Iniesta che va ad aggiungersi a quello di Messi) di rimontare in soli 120 secondi un eccellente Bayer Leverkusen al Camp Nou. Ma i tedeschi, dopo aver impressionato con la Lazio ad agosto, sono usciti dal campo a testa altissima. E sono in grado di esprimere un calcio non meno aggressivo del Bate, ma accompagnato da ben altra cifra tecnica. Trattandosi, ormai, di un prossimo spareggio per il secondo posto, non un buon segnale. Con l’aggravante che, classifica alla mano, una sconfitta della Roma in Germania renderebbe quasi impossibile proseguire l’avventura nella massima competizione continentale. E la beffarda traversa di Florenzi insegna che non sempre dal cilindro si può estrarre il coniglio.
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