Le richieste della Bce a Carige di varare un nuovo piano industriale hanno avuto pesanti effetti sul titolo dell’istituto genovese nelle contrattazioni di oggi.
Le richieste dell’Eurotower hanno fatto fare un salto in territorio negativo di circa il 10% in apertura di seduta, poi stabilizzato a -9% tanto da valere al titolo la sospensione dalle contrattazioni. questo che denota non solo la poca fiducia del mercato verso le soluzioni che la banca ligure può trovare tenendo conto del deterioramento dello scenario economico, ma anche la reiterata poca credibilità della maggior parte degli istituti di credito agli occhi degli investitori. Se infatti all’apertura delle contrattazioni i segni erano tutti positivi, non c’è voluto molto tempo prima di registrare una inversione di tendenza:
Banco Popolare in calo del 3,42%, Unicredit del 2,85%, Mediobanca dell’1.84%%, Mps meno 2,43%, Intesa Sanpaolo giù dell’1,94%. Male anche Ubi Banca, -4.5% e Bpm – 3,31%.
In decisa controtendenza Telecom, spinta dai rumors di vendita delle proprie attività in Argentina e dal possibile cambio di guida al vertice dell’azienda. Marco Patuano, attualmente alla guida del colosso delle telecomunicazioni, potrebbe essere in uscita, a favore di un nuovo ad. Una scelta che molti vedono connessa al rafforzamento di Vivendi nell’azienda.
Bene anche Moncler, che guadagna il 2% dopo la pubblicazione dei dati del 2015, con ricavi a 880 milioni, un utile netto di 167 e un indebitamento finanziario in flessione a 49,6 milioni di euro dai 111 dell’anno precedente.
Le oscillazioni del mercato, tuttavia, sembrano non impensierire gli italiani. Nel quarto trimestre del 2015, infatti, gli investimenti fissi lordi hanno fatto segnare un rialzo dello 0,8% rispetto al trimestre precedente.
Bene anche i consumi, +0.3%, e, a confronto con i rispettivi periodi dell’anno precedente, la crescita ammonta allo 0,9% per i consumi e dell’1,6 per gli investimenti.
A sostenerlo l’Istat, che nel suo rilevamento trimestrale sui conti economici fotografa un andamento positivo del sistema economico nazionale.
Rispetto al trimestre precendente, si legge nella nota dell’Istituto, “tutti i principali aggregati della domanda interna sono aumentati in maniera significativa, con incrementi dello 0,3% per i consumi finali nazionali e dello 0,8% per gli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono cresciute, rispettivamente, dell’1,0% e dell’1,3%.”
La domanda nazionale, “al netto delle scorte”, ha contribuito “per 0,4 punti percentuali alla crescita del PIL, con apporti di 0,2 punti decimali dei consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private (ISP) e di 0,1 punti decimali sia della spesa della Pubblica Amministrazione (PA), sia degli investimenti fissi lordi. La variazione delle scorte ha contribuito negativamente alla variazione del PIL (-0,4 punti percentuali), mentre il contributo della domanda estera netta è stato positivo per 0,1 punti percentuali”.
Bene anche il “valore aggiunto dell’industria e dei servizi, +0,1% per entrambi i comparti”, mentre il valore aggiunto dell’agricoltura è “diminuito dello 0,1%. In termini tendenziali, il valore aggiunto dell’agricoltura è aumentato dell’8,4%, quello dell’industria dell’1% e quello dei servizi dello 0,5%”.
Gli analisti tornano poi sulla questione Pil, oggi allo 0,6% contro il dato dello 0,8 diffuso nei giorni scorsi.
La variazione percentuale è stata giustificata dagli analisti con una differenza di giorni lavorativi tra il 2014 e il 2015, tre nello specifico.
Fatto sta che, come spesso accade nelle rilevazioni statistiche, quelle che arrivano dall’istituto nazionale sembrano avere prospettive più rosee rispetto alle altre. Cosa che ha suscitato un po’ di battibecchi tra economisti e statisti, soprattutto su internet come accaduto tra la stessa Istat e Francesco Daveri. Che oggi, al Fatto quotidiano spiega: “mi hanno bacchettato, ma i numeri erano strani e andavano spiegati. Ora leggiamo che il risultato è quello che continuavo a ottenere io analizzando le cifre trimestrali diffuse dalla stessa Istat: +0,6%. Comunque il vero dato è che la crescita si sta fermando: vendite e produzione industriale ristagnano. I consumi non ripartono perché le tasse sono scese troppo poco e le famiglie non percepiscono un aumento consistente del reddito disponibile. In questo quadro, raggiungere nel 2016 il +1,6% previsto dall’esecutivo mi sembra davvero difficile. Il governo dovrà adeguare le sue previsioni sulle entrate fiscali al nuovo scenario o fare qualcosa in più per rilanciare la crescita. Servono investimenti veri, non incrementi delle scorte”.
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