Una giustizia che non sia solo punitiva. È l’appello di Papa Francesco durante lo scorso Angelus dedicato ai detenuti. Ne è l’esempio insospettabile il Brasile, in cui ci sono carceri senza guardie, armi, barriere e in cui i detenuti si autogestiscono. Un’autentica rivoluzione. E mentre in Italia si parla di amnistia, in seguito al Giubileo dei Carcerati di domenica 6 novembre per la quale è necessario il voto favorevole di due terzi del Parlamento, in Brasile, l’Apac – Associazione di Protezione e Assistenza ai Condannati – ha reso possibile una soluzione diversa al problema del degrado sociale legato ai penitenziari. Un problema molto sentito nel nostro Paese.
Secondo le dichiarazioni del ministro della Giustizia Orlando, in Italia nel 2016 ci sono 1.318 detenuti in più rispetto al 2015, 55mila in tutto, con un sovraffollamento del 108%. Una realtà molto dura fatta di maltrattamenti, pene lunghissime, pessima igiene, come si legge anche nell’ultimo rapporto dell’associazione ‘Antigone’. Come attenuare gli effetti di un problema difficile da gestire? Tenendo presenti i numerosi episodi di sommosse e violenze nelle carceri nell’Unione Federale del Brasile, il caso Apac cerca coraggiosamente di fare scuola.
“Qui entra l’uomo, il delitto resta fuori” è lo slogan di questi istituti detentivi, le cui chiavi sono in mano ai detenuti stessi che autogestiscono la vita comune e partecipano a progetti di formazione professionale guidati da associazioni senza scopo di lucro.
Le strutture Apac nascono nel 1972 nella città paulista di San José dos Campos per mano di un gruppo di volontari guidati dall’avvocato Mario Ottoboni. Si tratta di piccoli centri di recupero per detenuti e di espiazione alternativa della pena che in oltre 40 anni di vita non hanno prodotto né una sola rivolta, né un singolo caso di corruzione o spaccio mentre il tasso di recidiva di chi esce è del 15% contro l’85% del resto del Paese.
Il metodo Apac parte dal riconoscimento di aver commesso un errore e dalla decisione di cambiare per essere inseriti in un sistema basato sull’autodisciplina, sulla fiducia e sul rispetto. Con l’aiuto di psicologi e operatori sociali, i detenuti studiano e lavorano, aiutandosi a vicenda. Il metodo punta sul coinvolgimento della famiglia del detenuto, e la partecipazione della comunità esterna alla gestione della struttura, facendo molta attenzione alla salute e alla possibilità di coltivare la dimensione religiosa, con lo scopo finale di offrire al condannato le condizioni per pagare il suo debito con la giustizia e allo stesso tempo recuperare se stesso.
Dopo le iniziali resistenze del Governo e del sistema giudiziario brasiliano, le strutture sono diventate 147. Oggi questo metodo è stato adottato in diverse città e testato in 22 paesi a dimostrazione del fatto che sta progressivamente venendo meno il preconcetto per cui un detenuto debba soffrire violenze, abusi, degrado. L’esperienza delle carceri autogestita, seppur ancora in minoranza, rappresenta un’effettiva risposta alternativa all’inefficienza dei sistemi di detenzione tradizionali. Forse, sulla scia dei Paesi che hanno aderito all’iniziativa, l’esperienza Apac potrebbe rivelarsi una proposta soddisfacente anche per il contesto italiano, come ribadito dalle centinaia di persone che domenica scorsa hanno partecipato alla marcia della pace, partita da carcere di Regina Coeli e arrivata in piazza San Pietro, promossa dai radicali e alla quale hanno aderito l’unione delle Camere penali e le associazioni come ‘Nessuno tocchi Caino’. Tanti i palloncini gialli per chiedere un provvedimento di amnistia, provvedimento generale di clemenza da parte dello Stato con estinzione del reato (previsto dalla Costituzione italiana e dal Codice Penale) che tuttavia per i Radicali non è la soluzione definitiva al problema del ripristino della legalità nelle carceri italiane, ma solo un passo verso un processo di riforma strutturale della Giustizia.
L’esperienza brasiliana sembra aver trovato ampio spazio anche nelle parole di Papa Francesco. Illuminanti le sue parole al riguardo: «In occasione dell’odierno Giubileo dei carcerati vorrei rivolgere un appello in favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo, affinché sia rispettata pienamente la dignità umana dei detenuti. Inoltre – ha aggiunto il Pontefice – desidero ribadire l’importanza di riflettere sulla necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva, ma aperta alla speranza e alla prospettiva di reinserire il reo nella società».
Alessia Rabbai
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