L’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, indagato per lo scandalo delle tangenti Petrobras, ha giurato come ministro della Casa Civil del governo di Dilma Rousseff, ma la sua nomina è stata sospesa dal tribunale di Brasilia.
L’incarico di governo lo metterebbe al riparo dai giudici: in Brasile i ministri possono essere processati solo dalla Corte suprema, i cui componenti sono a loro volta nominati dal presidente. E una telefonata intercettata della Rousseff suggerisce che la ragione del rimpasto sia proprio quella. La sua pubblicazione per opera del pm Sérgio Moro, titolare dell’inchiesta Lava Jato, ha fatto esplodere la protesta di decine di migliaia di cittadini, scesi per le strade in tutto il Paese. Ma l’ex presidente potrebbe non entrare mai in carica. Il giudice Itagiba Catta Preta Neto, della quarta sezione del Tribunale del Distretto federale, ha sospeso la nomina con una sentenza provvisoria. Il govero può comunque presentare ricorso contro il provvedimento.
Lula è iscritto nel registro degli indagati con le accuse di corruzione e riciclaggio di denaro. I magistrati sono convinti che la Petrobras, l’azienda petrolifera di Stato, fosse gestita come un collettore di tangenti miliardarie da imprenditori che dichiaravano finanziamenti gonfiati ad arte. L’ex presidente è sospettato di aver intestato a prestanome vari beni, tra cui un attico con vista sull’oceano. Ora il fascicolo a suo carico passerà dal Tribunale di San Paolo alla Procura Generale, e se si andrà a processo, come accennato in precedenza, sarà davanti al Supremo Tribunale Federale.
Alla cerimonia del giuramento Lula è apparso raggiante, in abito scuro e cravatta rossa. La presidente Rousseff ha pronunciato un discorso nel quale lo ha definito “il più grande leader politico di questo Paese”, e ha definito l’inchiesta paulista “una congiura che invade le prerogative costituzionali della presidenza della Repubblica”. Mancava, invece, il vicepresidente Michel Temer, presidente del PMDB (“Partito del movimento democratico brasiliano”), alleato del PT (“Partito dei lavoratori”) di Lula e Rousseff. Ufficialmente per via della nomina all’Aviazione civile del suo deputato Mauro Lopes: meno di una settimana fa, nell’ultimo congresso del PMDB, si era deciso di non accettare incarichi di governo per il prossimo mese. Con Lula e Lopes hanno giurato anche il nuovo ministro della Giustizia, Eugénio Aragao, e Jaques Wagner, che ha lasciato la carica a Lula per andare a dirigere il gabinetto personale della Presidente.
La decisione di inserire Lula nella squadra di governo, però, rimette Dilma Rousseff nel mirino dei giudici e dell’opposizione. Durante la cerimonia la presidente è stata interrotta più volte e ha ricevuto sia applausi sia fischi. Ma nella maggior parte delle manifestazioni – a San Paolo, Belo Horizonte, Curitiba, Rio de Janeiro e Florianopolis – i dimostranti hanno invocato le sue dimissioni. A Brasilia, davanti alla sede della Presidenza della Repubblica, sostenitori e oppositori del governo sono perfino venuti alle mani. Le autorità di San Paolo, anche per evitare altri scontri, hanno schierato la polizia in assetto antisommossa.
La breve telefonata che inchioderebbe la Rousseff è stata intercettata ieri dalla polizia federale. Dilma informa Lula che gli sta per inviare il decreto con cui lo nomina ministro: “Te lo mando – gli dice – ma usalo solo in caso di necessità”. Una dimostrazione lampante, sostiene il giudice Moro, che la nomina sia stata decisa con il preciso scopo di intralciare la giustizia.
La diretta interessata ha reagito promettendo che il governo “adotterà tutte le misure amministrative e giudiziarie” per assicurare che “si ripari alla palese violazione della legge e della Costituzione”. L’intercettazione, sostiene la Rousseff, “viola i diritti e le garanzie della presidenza della Repubblica”. E rincara la dose il legale di Lula, Cristiano Zanin Martins, che ha accusato Moro di voler “aumentare il sovvertimento sociale”.
F.M.R.
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