La Camera dei Deputati brasiliana ha approvato l’apertura del processo di impeachment contro la presidente federale Dilma Rousseff. Se come sembra la proposta passerà anche in Senato, la Presidenta – la prima donna a capo dello Stato – sarà sospesa dall’incarico per almeno tre mesi, periodo nel quale le sue funzioni passeranno al suo vice Michel Temer.
Dei 513 deputati della Camera bassa, 367 hanno detto sì all’impeachment, 137 hanno votato contro, 7 si sono astenuti. Per approvare la mozione bastavano 342 voti a favore, ma il governo aveva già ammesso la sconfitta durante la conta, poco dopo la soglia psicologica dei trecento “sì”.
Le operazioni di voto sono state tese: in aula si è sfiorato più volte lo scontro fisico, e quando si è raggiunto il quorum i deputati dell’opposizione hanno esultato mostrando cartelli con scritto “Ciao cara”, la frase con cui l’ex presidente Lula – mentore politico della Rousseff, suo amico e compagno di militanza ai tempi della dittatura – saluta la presidente nelle telefonate intercettate che la incriminano. Era stata pittoresca anche la fase delle dichiarazioni di voto, con bandiere degli Stati, giuramenti sulla testa di padri e figli, richiami ai valori più disparati e un lancio di coriandoli da una pistola giocattolo.
La scena vista fuori dal Parlamento, sulla spianata dei ministeri di Brasilia progettata da Oscar Niemeyer, fa capire quanto la questione dell’impeachment abbia polarizzato l’elettorato. Metà della piazza è scoppiata a piangere, l’altra – parole della stampa locale – esultava come se avesse vinto i mondiali. A dividere i due fiumi umani, un muro provvisorio e un doppio cordone di forze dell’ordine.
Dalla fine della dittatura militare, nel 1985, è la seconda volta che il parlamento brasiliano approva la messa in stato d’accusa del presidente. Nel 1992, l’impeachment di Fernando Collor de Mello lo convinse a dare le dimissioni, travolto dalle accuse di corruzione. La Rousseff non sembra avere la minima intenzione di seguire le sue orme: “Daremo battaglia al Senato”, fa sapere il capogruppo alla Camera del Partito dei Lavoratori (PT), José Guimaraes. Ma il vicepresidente Temer invece si è detto convinto che la mozione di impeachment possa superare anche il passaggio alla Camera alta. Il capo di gabinetto della presidenza, Jaques Wagner, parla di “regresso” e teme che l’impeachment possa “interrompere trent’anni di democrazia nel Paese”, mentre la stessa Rousseff insiste sul volersi battere “con tutte le forze” contro quello che definisce “un golpe contro il governo democraticamente eletto”.
In ogni caso, il suo iter giudiziario è appena iniziato. Prima di istruire il processo contro di lei, infatti, serve il via libera del Senato: prima di tutto il presidente dell’organo Renan Calheiros istituirà una commissione speciale, che avrà una decina di giorni per analizzare la richiesta della magistratura, e se la approverà la sottoporrà al voto di tutti gli 81 senatori. Con almeno 41 “sì” scatterà la sospensione dall’incarico, e il capo dello Stato avrà 180 giorni di tempo per difendersi davanti alla Corte costituzionale. Poi il Senato deve ascoltare la difesa e votare una seconda volta a maggioranza qualificata: 54 voti, due terzi dei legislatori. Solo allora la Rousseff sarà costretta a decadere dall’incarico e il vicepresidente si insedierà al suo posto in forma ufficiale. Ma anche questo potrebbe non bastare a concludere la vicenda. Sono implicati in inchieste per corruzione, e quindi a rischio impeachment, anche lo stesso Temer e il presidente della Camera Eduardo Cunha, numeri uno e due della linea di successione alla presidenza.
L’impeachment, secondo Wagner, sarebbe stato “orchestrato da un’opposizione che non ha accettato la sconfitta nelle ultime elezioni e che non ha lasciato governare la presidente, boicottando le sue iniziative a favore dello sviluppo nel Paese”. Diversa la spiegazione di Aecio Neves, lo sfidante battuto alle presidenziali del 2014: la Rousseff pagherebbe “per la sua incapacità di governare il Paese” durante la crisi economica e la recessione. Sicuramente una parte consistente della rabbia dell’elettorato è dovuta all’uragano Lava Jato, l’inchiesta condotta dal battagliero procuratore Sérgio Moro che ha portato alla luce una rete di corruzione di dimensioni mai viste. Secondo gli inquirenti, ci sarebbero responsabilità dirette dei vertici del PT e dell’ex presidente Lula nella trasformazione di Petrobras, l’impresa petrolifera di Stato, in una centrale di smistamento di tangenti miliardarie.
Chiunque abbia ragione, sta di fatto che gli alleati centristi che finora avevano sostenuto la Rousseff le hanno voltato le spalle e stanno già trattando con la destra. Uno di quegli alleati è proprio Cunha, un conservatore evangelico del Partito del movimento democratico, spesso in disaccordo con le posizioni di sinistra del PT e definito dalla BBC la “nemesi” della presidente. Ma i sindacati e i movimenti sociali vicini al governo avvertono: far guidare un esecutivo al discusso presidente della Camera innescherebbe tensioni sociali in grado di precipitare il Paese nel caos. Per questo ora in Brasile si comincia a parlare apertamente di elezioni anticipate.
F.M.R.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy