E’ ancora presto per capire e soprattutto giudicare qualità e tenuta di Matteo Renzi premier. Chi tenta un bilancio oggi, magari ironizzando sulla canzoncina e sul coro che lo ha visto partecipe nella visita alla scuola elementare di Siracusa sbaglia di grosso.
Il Matteo Renzi visto al Consiglio economico di Bruxelles è quello che forse si avvicina di più e meglio alla fisionomia del buon presidente del Consiglio. Ha dimostrato di sapersi muovere, di trattare da pari e soprattutto di non soffrire di timori reverenziali.
E poi, diciamolo, anche con un pizzico di orgoglio nazionale, quelle frasi ad effetto come “Non abbiamo rassicurazioni da dare” e soprattutto quel “…Non è l’Europa il luogo nel quale veniamo a prendere i compiti da fare a casa”, lascia ben sperare sulle qualità e sul futuro del giovane premier. Mettere le distanze con chi negli ultimi anni si era abituato a giocare al massacro con un Paese problematico si come il nostro ma poi non tanto più disastrato e nei guai di chi pretende di giudicarci, è sempre buona cosa.
Con un piglio ed un pizzico di aggressività costruttiva che pochi si aspettavano, Renzi ha cambiato tempi e modi di un cerimoniale che negli ultimi anni ci ha sempre penalizzato. Dapprima con un presidente in difficoltà come Berlusconi zavorrato dai suoi casini giudiziari e poi con suoi due scialbissimi successori, Monti prima e Letta poi, piegati impietosamente da logiche di subalternità politica nei confronti dei colleghi Ue sconfinate spesso in atteggiamenti di timore reverenziale, al limite del servilismo.
Ebbene Renzi ha deciso di cambiare atteggiamento. Ha deciso di giocare d’attacco anche se all’appuntamento con Bruxelles si è presentato con conti non in regola e soprattutto con eredità fallimentari in materia economica e sociale che tutti conosciamo. Però non per questo Renzi ha deciso di andare al vertice con i panni dimessi e stracciati di chi va a Canossa per farsi perdonare qualcosa.
Che l’Italia debba rimboccarsi le maniche per agganciare una ripresa fragile ma indispensabile per uscire dalla palude dove siamo impantanati da troppo tempo, non ce lo deve ricordare l’Europa. Di analisi, ricerche, studi, considerazioni e anatemi sono pieni i cassetti di Bruxelles e di mezzo mondo. Ora servono i fatti ed è questa la sfida più importante che deve vincere il presidente del Consiglio cui nessuno, dai suoi alleati agli oppositori, regalerà nulla. In agguato restano sempre coloro, e sono tanti, che dalla ingovernabilità del Paese alla fine hanno tratto e continuano a trarre i maggiori vantaggi.
Dobbiamo lasciarci alle spalle nel più breve tempo possibile le fallimentari esperienze dei governi Berlusconi Monti e Letta e le frasi di Renzi al vertice di Bruxelles lasciano intendere che forse è finito, almeno sul fronte internazionale il tempo della sovranità limitata dettata da quella politica di austerità che continuiamo a pagare in termini di disoccupazione e povertà. Si ricomincia dal lavoro ha detto il premier e soprattutto nessuna priorità o spazio a nuove manovre correttive di bilancio. In questo senso il messaggio alla Ue di Renzi ha almeno il dono della chiarezza. Per il resto aspettiamolo alla prova dei fatti.
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