Il dibattito sul Brexit entra nel vivo e nel Regno Unito i conservatori sono spaccati. Ieri il governo di David Cameron ha annunciato che il referendum sulla permanenza del Regno Unito nella UE si terrà il prossimo 23 giugno. Subito dopo sono iniziate le prese di posizione.
Boris Johnson, il sindaco conservatore di Londra, si è schierato a favore dell’uscita dalla UE.
Una doccia fredda per il premier, che si è impegnato a fare campagna per la permanenza di Londra nell’Unione. Sabato scorso, dopo faticose trattative con la Commissione, l’uomo di Downing Street aveva strappato Bruxelles la promessa di uno “statuto speciale” all’interno dell’Unione.
A nulla è servito l’accorato appello di Cameron, che ieri aveva chiesto l’appoggio del vulcanico Johnson, uno dei pochi conservatori a non prendere posizione immediatamente. “Nell’UE saremo più sicuri e più forti”, gli aveva detto il primo ministro; “Penso che la prospettiva di legarci a Nigel Farage e George Galloway – i leader dell’UKIP e del Respect Party, due partiti euroscettici che godono di un certo seguito nel Regno – e di fare un salto nel buio sia un passo sbagliato per il nostro Paese”.
“L’occasione per un cambiamento reale capita una volta nella vita”, sostiene oggi Johnson in un editoriale pubblicato dal Daily Telegraph.
C’è un unico modo di ottenere il cambiamento vero di cui abbiamo bisogno, tutta la storia dell’Ue dimostra che loro stanno a sentire un popolo soltanto quando dice “no”.
All’indomani della spaccatura nel governo conservatore, la presa di posizione del sindaco di Londra potrebbe decidere la partita. L’ultimo sondaggio del Mail riporta i contrari al Brexit ancora in vantaggio, al 48%, contro un 33% di contrari, ma il carisma di Johnson potrebbe fare la differeza tra gli indecisi.
Cameron ha già detto che il 23 giugno i suoi ministri saranno liberi di votare secondo coscienza. A favore dell’uscita voteranno il ministro della Giustizia Michael Gove, quello del Lavoro Iain Duncan Smith e Chris Grayling, il Leader della camera dei Comuni, cioè il ministro incaricato dei rapporti fra il governo e la camera bassa di Westminster.
Per la permanenza nella UE, invece, si sono schierati il cancelliere dello Scacchiere George Osborne, un fedelissimo di Cameron, il ministro dell’Interno Theresa May, che ha fama di euroscettica pentita, e fino a prova contraria anche quello degli Esteri Philip Hammond.
Contrari all’uscita anche il leader laburista Jeremy Corbyn, anche se ha ridicolizzato l’intesa raggiunta a Bruxelles, e la premier scozzese, l’indipendentista Nicola Sturgeon, che si è detta pronta a indire un nuovo referendum per la secessione in caso di Brexit.
Nettamente contrari alla permanenza di Londra nel club comunitario, invece, sono i banchieri della City. Pur di non vedere più Londra all’interno della UE, il presidente di HSBC Douglas Flint è arrivato a minacciare la “delocalizzazione” di mille dipendenti in Francia.
Oggi Cameron è tornato a spiegare la sua posizione alla BBC. Secondo il premier, dietro l’“illusione di sovranità” dell’uscita dalla UE si nasconderebbe il rischio più che concreto di perdere “potere e influenza a livello internazionale”. Londra non potrebbe più aiutare le sue imprese “e fare in modo che non siano discriminate nei confronti dell’euro”.
Non potremmo fare pressione sui Paesi europei per condividere i limiti di informazione e per sapere quello che stanno facendo i terroristi e criminali in Europa.
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