La Camera dei Comuni britannica ha rigettato ancora una volta con 344 no contro 286 sì l’accordo della premier Theresa May sulla Brexit, condannandolo in modo ormai definitivo. La separazione dall’Europa è, oggi indubbiamente, diventata la grana politico-istituzionale più importante per il Regno Unito dalla fine della seconda guerra mondiale. Il terzo definitivo no all’uscita morbida dall’Unione Europea, così come votatao dalla maggioranza dei sudditi di Sua Maestà britannica il 26 giugno 2016, si sta rivelando un problema che è andato ben al di la delle stesse intenzioni dei referendari.
Con il voto di ieri decade, infatti, l’offerta dell’Ue di una proroga del divorzio dal 29 marzo al 22 maggio e resta in piedi solo un mini rinvio limitato al 12 aprile: data entro la quale il Regno Unito dovrà decidere se chiedere a Bruxelles un’estensione lunga motivata o procedere a un’uscita no deal. La crisi istituzionale sancita dalla Camera dei Comuni a Westminster si è aggrovigliata in maniera incredibile e la chiave di lettura di questa empasse l’ha offerta la stessa Premier inglese.
May ha definito “grave” la decisione con cui la Camera dei Comuni ha bocciato ieri di nuovo il suo accordo sulla Brexit, evocando a questo punto la necessità della richiesta di un rinvio prolungato all’Ue e della partecipazione britannica alle elezioni europee, se accordato.
La premier furibonda per l’esito della votazione ha rinfacciato alla Camera di non avere alcun piano B maggioritario, avendo detto no al suo accordo, ma anche no a un no deal, un no Brexit e no ad un referendum bis. E ha insistito che il governo continuerà ad agire affinché “la Brexit sia attuata”. Quali possibili soluzioni all’orizzionte? E’ sempre la Premier a rispondere: “E’ quasi certo adesso che noi si debba partecipare alle elezioni europee”, ha detto la May dopo la bocciatura.
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