Lo scorso 13 aprile si è aperta la prima riunione del gruppo Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). L’incontro, che si è svolto in Cina, nella città di Sanya, era atteso con interesse da parte della stampa economica per due motivi diversi. Da una parte l’interesse per i nuovi rapporti di forza all’interno del gruppo, che ha visto l’ingresso di un paese le cui condizioni demografiche ed economiche sono profondamente diverse da quelle del resto del gruppo, il Sudafrica. In secondo luogo, dal momento stesso della sua fondazione con i primi quattro membri, nel 2009, il gruppo (allora Bric) ha sempre avanzato una critica del sistema monetario mondiale, basato sul dollaro come valuta di riferimento.
Sulla seconda questione – informa il sito www.rassegna.it – la dichiarazione congiunta diramata alla fine dell’incontro ribadisce la critica al sistema corrente ed esprime interesse per lo Special Drawing Right (Sdr), meccanismo del Fondo monetario internazionale (Fmi) nel quale confluiscono valute diverse che potrebbero diventare, nel loro insieme, un sostituto del dollaro. La discussione sullo Sdr tra i cinque paesi si è concentrata soprattutto sulla possibilità dello yuan, la valuta cinese, di essere ammessa nel paniere delle valute di riferimento. Le autorità cinesi si dimostrano comunque caute sull’ipotesi, visto che per poter aspirare a quella posizione dovrebbero permettere la convertibilità della propria moneta e quindi esporla a un apprezzamento quasi automatico, nonché alla speculazione dei mercati internazionali. In definitiva, i paesi Brics si sono limitati a lanciare un segnale che sicuramente Washington ha recepito, mentre dal punto di vista concreto l’azione è passata ai banchieri centrali del gruppo presenti all’incontro cinese. Su iniziativa del capo della banca centrale cinese si è infatti deciso di avviare un meccanismo di prestiti per i paesi del club non in dollari, ma nelle valute nazionali dei cinque paesi emergenti. La Cina ha quindi messo sul tavolo la disponibilità di 10 miliardi di yuan da elargire ai propri partner, un’occasione che la Russia ha preso al volo dichiarando di voler attingere dal fondo per circa un terzo del suo valore (3 miliardi di yuan).Il fondo prestiti si configura come il primo passo verso la “creazione di un grande mercato unico delle economie emergenti”, che è lo scopo istituzionale del gruppo. Uno scopo declinato dal nuovo membro, attraverso le parole del suo presidente Jacob Zuma, con quello della creazione di un “ordine economico mondiale più giusto” di quello attuale. La presenza del Sudafrica nel gruppo è stata recepita con una certa sorpresa dai commentatori internazionali, per le vistose differenze tra l’economia più avanzata del continente africano e gli altri paesi, che da soli riuniscono il 25 per cento del territorio mondiale e il 40 per cento della popolazione che lo abita. Un imprenditore sudafricano presente agli incontri ha dichiarato che la “nazione arcobaleno” è stata trattata come un partner uguale agli altri su tutti i livelli. La spiegazione per questo atteggiamento sarebbe da trovarsi nel fatto che l’invito della Cina al Sudafrica è in realtà un primo passo verso una futura inclusione di tutto il continente nel club. Il Sudafrica, che produce un terzo del pil dell’Africa Subsahariana, rappresenta quindi la naturale testa di ponte per sbarcare in un territorio ricco di quelle materie prime delle quali il gigante cinese ha tanto bisogno per sostenere la propria impressionante crescita economica. Come ha sottolineato il settimanale indiano Businessweek, quello che ha visto la luce a Sanya è un “mosaico economico e politico”. Questa condizione pone molti problemi al funzionamento del gruppo, come ha avuto modo di sottolineare il Congress of South African Trade unions (Cosatu) nel comunicato stampa diramato in seguito alla riunione. Combattuto, come ormai da decenni, tra il suo ruolo di alleato dell’Anc al governo e protettore dei diritti dei lavoratori, il sindacato ha dipinto un quadro in chiaroscuro dell’accordo. Il comunicato si apre su una nota positiva, nella quale si guarda al Brics come a un’opportunità per “rafforzare le relazioni sud-sud e la solidarietà [tra i paesi emergenti ndr] in un mondo dominato da pochi paesi ricchi del nord”. L’ingresso del Sudafrica nel gruppo è quindi visto come un’opportunità per cambiare, in direzione di una maggiore equità e giustizia, il governo mondiale dell’economia. Il sindacato è però critico sulle scelte finora operate dal gruppo, che sembrano più votate a ritagliare uno spazio per i paesi aderenti negli attuali centri di potere piuttosto che a cambiare radicalmente la struttura di quegli stessi centri. Inoltre, a livello locale, il Cosatu teme che le differenze demografiche e di sviluppo industriale tra i paesi aderenti abbiano dei risultati negativi sull’economia sudafricana, soprattutto per quanto riguarda i posti di lavoro. A sostegno della sua preoccupazione il sindacato ricorda che, nel momento in cui c’è stata l’apertura ai beni cinesi, l’industria tessile è andata in crisi, in Sudafrica come nel resto del continente, e molti posti di lavoro sono sfumati. È una sfida che il governo del Sudafrica e il suo alleato sindacale non possono permettersi di perdere proprio in quello che il presidente Zuma ha definito “l’anno della creazione di lavoro dignitoso” durante il lancio del manifesto per le elezioni locali che si svolgeranno il prossimo 18 maggio.
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