C’è anche un’italiana fra le 34 vittime degli attentati a Bruxelles. Si teme si tratti di Patricia Rizzo, una funzionaria della UE di cui non si hanno notizie da ieri.
“Era una donna che prendeva normalmente la metropolitana”, ha detto Maurizio Lupi, capogruppo di Forza Italia alla Camera, dopo il vertice su sicurezza e lotta al terrorismo anticipato a stamattina dal Governo. “È in corso la fase di riconoscimento, i familiari sono con il console a Bruxelles”, aggiunge Lupi, “ma la violenza dell’esplosione ha reso le vittime irriconoscibili”. Per identificarla servirà l’esame del DNA.
Intanto la minaccia di nuovi attentati ha convinto il dipartimento di Stato USA a emettere un travel warning, un avviso ai viaggiatori, per sconsigliare ai cittadini americani di viaggiare in Europa. “Gruppi terroristici continuano a pianificare attacchi a breve termine attraverso l’Europa”, scrive Washington. Tra gli obiettivi “eventi sportivi, siti turistici, ristoranti e trasporti”.
Oggi, in Belgio, il quotidiano Dernière Heure ha prima annunciato e poi smentito l’arresto di Najim Laachraoui, un jihadista già implicato nelle indagini sugli attentati di Parigi, ad Anderlecht. Nel sobborgo della capitale la polizia ha arrestato un altro uomo, il cui nome non è ancora stato reso pubblico.
Laachraoui, che ha 24 anni, è considerato uno specialista nella fabbricazione di bombe artigianali. Con Mohammed Abrini, che ha aiutato Salah Abdeslam a scappare da Parigi dopo gli attentati dello scorso 13 novembre, resta uno dei jihadisti più ricercati d’Europa. È uno dei tre uomini ripresi dalle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto di Zaventem pochi minuti prima dell’attentato. Gli altri due sarebbero gli uomini-bomba che si sono fatti esplodere nella sala partenze. Secondo la polizia si tratta dei fratelli Khalid e Ibrahim el-Bakraoui, due simpatizzanti dell’ISIS con precedenti penali, i cui nomi erano già circolati giorni fa durante le operazioni che hanno portato all’arresto di Salah Abdeslam.
I tre uomini sono arrivati all’aeroporto in taxi, con le bombe nascoste in borse e valigie. Grazie alla testimonianza dell’autista, che si è insospettito perché i tre non gli lasciavano toccare i bagagli, la polizia ha rintracciato l’appartamento da dove sono partiti, nella zona di Schaerbeek. Nel covo gli agenti hanno trovato una bandiera dell’ISIS, una bomba carica di chiodi e altro materiale che potrebbe essere stato usato per preparare gli ordigni usati negli attentati.
In effetti, le bombe esplose ieri contenevano frammenti di metallo. “Non veri e propri chiodi, ma detriti metallici molto simili a piombini da caccia”, precisa Michele Grieco, un chirurgo romano che lavora all’ospedale universitario di Gand. “Ho curato molti pazienti arrivati da Bruxelles con schegge di metallo conficcate in organi, dal cuore al rene, e in diverse zone del corpo”, ha detto all’ADNKronos. “Mai visto nulla del genere”.
“Sono state ore molto impegnative”, ha raccontato Grieco, “abbiamo lavorato senza sosta per 16 ore per prestare aiuto”. I feriti – soprattutto ustionati, intossicati dai fumi e con traumi da deflagrazione – hanno occupato tutti i posti liberi nei reparti di terapia intensiva, non solo a Bruxelles, ma anche a Leuven e a Gand, a una cinquantina di chilometri dalla capitale.
Secondo gli ultimi dati annunciati dal ministro della Sanità belga Maggie de Block, negli attentati di ieri sono morte 31 persone, e almeno 250 sono i feriti. Tra questi ultimi ci sono tre italiani già dimessi dagli ospedali. È l’attacco più grave compiuto in tempo di pace nella storia del Belgio. Il premier Charles Michel ha ricevuto condoglianze e promesse di aiuto dai maggiori leader europei e mondiali, da Barack Obama, che ha toccato l’argomento durante la sua visita a Cuba, a Recep Tayyip Erdogan, da Matteo Renzi a David Cameron e ad Angela Merkel.
“È ancora presto per dire con certezza se gli attacchi siano legati a quello di Parigi”, ha detto ieri sera il procuratore federale Frédéric van Leuw in una breve conferenza stampa. Ma i nomi e i luoghi trapelati oggi, come si è visto, suggeriscono che le indagini stiano andando nella stessa direzione. Intanto il governo belga ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. A mezzogiorno tutto il paese si è fermato per un minuto di silenzio, e Place de la Bourse, il luogo scelto dalle autorità per la commemorazione ufficiale, si è riempita di persone. Scuole e trasporti pubblici hanno già ripreso a funzionare, esclusa la metro di Bruxelles, mentre l’aeroporto di Zaventem non riaprirà i battenti fino a nuovo ordine.
Sulla lotta al terrorismo, intanto, si scatena il dibattito politico. Ieri da più parti, oltre ai messaggi di cordoglio, sono arrivate anche reazioni rabbiose che incitavano al contrattacco. “Soluzioni miracolistiche” contro cui il premier Renzi mette in guardia, così come dalla chiusura delle frontiere. Il jihadismo è una “minaccia globale con killer anche locali”, sintetizza il presidente del Consiglio: può colpire in tutto il mondo, ma i suoi militanti “vengono da dentro”, “si nascondono nelle periferie delle nostre città”. E per combatterlo c’è bisogno di un “patto europeo” con un coordinamento internazionale di sicurezza e intelligence, non della competizione fra agenzie nazionali vista all’opera negli ultimi mesi.
Critico verso le politiche d’integrazione europee è anche l’imam Yahya Sergio Pallavicini, presidente della Co.Re.Is, una delle associazioni che rappresentano i musulmani italiani. “Siamo molto preoccupati per questa escalation di violenza e strumentalizzazione della religione”, scrive, “che va di pari passo con gli errori nelle politiche di integrazione, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni cresciute in Europa”.
“Se ci si limita solo ad accogliere come si fa con le merci senza rivalorizzare un senso di identità europea”, spiega l’Imam, “alla fine molti giovani, non sapendo perché si trovano in un Paese, vedono nell’Isis una valida alternativa”.
Se si trapianta il disagio e la miseria culturale e sociale del Nord Africa in alcuni quartieri, i figli cresciuti in questo contesto si sentono spaesati nei confronti della Nazione in cui vivono. E questa mancanza di una chiarezza identitaria apre le porte ai falsi predicatori, alle manipolazioni dell’Isis e all’idea di trasformarsi in giustizialisti.
Filippo M. Ragusa
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