L’attesa é finita, la 69esima edizione del Festival del Cinema Cannes si è conclusa. I 21 film in competizione di cui sentiremo parlare per il resto del 2016 sono stati tutti proiettati e ieri sera intorno alle 19 sono stati annunciati i vincitori. Per noi Italiani non c’era più nulla in cui sperare, ma la cerimonia di chiusura della kermesse cinematografica più glamour d’Europa non ha negato emozioni e sorprese.
Da venerdì sera intorno al Palais des Festivals ha cominciato a regnare una calma insolita e quasi innaturale; confusione, foto, code interminabili e corse da una sala all’altra si erano un po’ placate, intanto però scoprivamo che nessuno dei nostri tre film selezionati per la sezione non competitiva Quinzaine des Realisateurs si è aggiudicato alcun riconoscimento. Nemmeno sabato sera alla Salle Debussy del Palais des Festivals ci sono stati Italiani ad esultare per Pericle il nero di Stefano Mordini, unico film in competizione nella sezione ufficiale Un Certain Regard. E’ stato un film finlandese a vincere il premio più ambito di questa rassegna: The happiest day in the life of Olli Maki, di Juho Kuosmanen. Una storia vera, discreta e lineare che narra, anzi, quasi documenta in bianco e nero, un particolare periodo della vita di un pugile finlandese degli anni sessanta, Olli Maki. Olli ha la possibilità di vincere il titolo di campione del mondo dei pesi piuma, ma ha anche nel contempo la fortuna di innamorasi della donna della sua vita, Raija.
Durante i passati 11 giorni le proiezioni dei film selezionati per le diverse sezioni del programma ufficiale si sono susseguite senza tregua nei 6 teatri più grandi della Croisette, sempre affollati e sempre ambiti fino all’ultimo momento. I film in competizione e quelli fuori concorso sono stati vari e diversamente apprezzati dal pubblico e dalla critica, ma ogni red carpet ha avuto il suo abbondante bagno di folla. Grandi registi come Woody Allen, Steven Spielberg e Ken Loach, attrici e attori noti come Kristen Stewarts, Marillon Cotillard, Charlize Theron e Vincent Cassel sono intervenuti e persino Robert De Niro e Mel Gibson hanno trovato il tempo di fare un veloce salto alla Croisette. Dopo 11 folli ed intense giornate fatte di titoli, nomi, applausi e fischi, ieri sera i membri dei cast dei vari film hanno finalmente fatto il loro solenne ingresso al Grand Théâtre Lumière dove si è svolta la cerimonia finale di premiazione.
Il momento di maggior stupore e quasi di imbarazzo è arrivato presto, all’annuncio del Premio alla Miglior Regia, vinto ex-aequo dal rumeno Cristian Mungiu per Graduation (Bacalaureat) e dal francese Olivier Assayas per Personal shopper. Due film assai criticati dal pubblico nei giorni scorsi e non meno fischiati in sala dai giornalisti. Mungiu porta sullo schermo un lavoro tutto girato intorno al protagonista, medico e padre molto coinvolto nella vita della figlia, personaggio presente in ogni scena del film, ma che non riesce a creare un legame empatico con lo spettatore. Mentre Assayas confeziona un mistery noioso che, sotto la prospettiva spiritualistica, apre molte possibili porte su temi come l’arte, la moda e le relazioni affettive, ma non arriva a concludere nessuno dei discorsi intrapresi.
Anche il Premio alla Miglior Interpretazione Femminile ha destato una certa meraviglia, persino nella stessa vincitrice. La miglior attrice a Cannes 2016 è la protagonista filippina di Ma’ Rosa, Jaclyn Jose, che con il suo straordinario realismo è inaspettatamente riuscita a superare colleghe in partenza assai più note e più quotate di lei, come Isabelle Hupper (Elle) o Sonia Braga (Aquarius).
La regista inglese Andrea Arnold vince il Premio alla Miglior Sceneggiatura per American Honey: una sorta di Gioventù bruciata dei giorni nostri che denuncia le nuove forme di povertà giovanile e abbandono sociale dell’America contemporanea, una storia a tempo di rap fatta di sguardi, luce e colore.
Sul palco del Grand Théâtre Lumière però il più commosso di tutti è il giovane regista canadese Xavier Dolan, che dopo il successo di Mommy di due anni fa sempre a Cannes, vince il Gran Prix speciale della giuria per Juste la fin du monde (It’s only the end of the word), un film che mostra grande originalità e spirito di ricerca. Espressivo in ogni suo dettaglio, Dolan più che una storia compone un quadro, armonioso e sconcertante al tempo stesso, fatto di relazioni affettive complesse tenute insieme in un precario equilibrio da un unico personaggio assolutamente bene costruito.
Alla fine però non ci sono dubbi per nessuno: i due film migliori in concorso al Festival del Cinema di Cannes 2016 sono l’iraniano Forushande (The Salesman) di Asghar Farhadi e l’inglese I, Daniel Blake di Ken Loach. Frushande è una storia garbata ed intensa, fondata su concetti come l’onore, la civiltà e il perdono; vince il Premio alla Miglior Sceneggiatura, che va allo stesso regista Farhadi, e quello alla Migliore Interpretazione Maschile, che va al protagonista Shahab Hosseini. Il secondo, I, Daniel Blake, conferma l’abilità di un regista dalla grande esperienza come Ken Loach e si aggiudica la Palma d’Oro. “Il film mette semplicemente in scena il dramma della vita quotidiana– ha spiegato il regista in conferenza stampa- e mostra fino a che punto le circostanze economiche e politiche di un paese possono influenzare le nostre possibilità, le nostre scelte e anche ciò che noi siamo“. I, Daniel Blake è sicuramente un film sociale estremamente realistico ma anche profondamente umano, frutto di uno straordinario lavoro di adattamento di un tema politico ad una storia personale così vera e toccante che potrebbe sembrare persino una biografia senza mai diventare patetica.
V.A.B.
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