Nel 2015 Carol ha catturato i favori della critica americana, tanto che il New York Film Critcs Circle gli ha assegnato 4 premi, miglior film, miglior regista a Todd Haynes, miglior sceneggiatura a Phyllis Nagy e miglior fotografia a Edward Lachman. E dopo aver regalato a Rooney Mara il premio per la migliore interpretazione femminile al Festival di Cannes, ora Carol può anche fregiarsi di ben 5 nomination ai Golden Globe, come miglior film drammatico, miglior regia, miglior attrice in un film drammatico a Cate Blanchett, miglior attrice in un film drammatico ancora a Rooney Mara e miglior colonna sonora a Carter Burwell.
Nominations e premi nella maggior parte meritati, eppure la storia, che non è delle più travolgenti, lascia dei dubbi sull’opportunità della candidatura a miglior film drammatico.
Ambientato nella New York degli anni ’50, Carol racconta la storia di due donne appartenenti a ceti diversi, travolte da una reciproca passione. Therese Belivet (Rooney Mara) è una ventenne che lavora come impiegata in un grande magazzino a Manhattan, ma sogna una vita più gratificante come fotografa. Un giorno incontra Carol (Cate Blanchett), donna attraente intrappolata in un matrimonio di convenienza e senza amore. Tra loro scatta immediatamente un reciproco interesse, che piano piano trasforma l’amicizia in un’intima e appassionata relazione. Tuttavia, quando il marito di Carol (Kyle Chandler) intuisce il nuovo coinvolgimento sentimentale della moglie con Therese, minaccia di farle togliere l’affidamento della figlia.
Diretto da Todd Haynes, scritto da Phyllis Nagy, Carol è l’adattamento cinematografico del romanzo del 1952 della giallista Patricia Highsmith, The Price of Salt, che descrive in modo assai schietto e libero le pulsioni sessuali delle due protagoniste. Un libro costruito per dare scalpore sia per il tema, già in se stesso assai destabilizzante per la sensibilità sociale degli anni ’50 abituata ad affrontare l’argomento dell’omosessualità solo per allusioni, e per lo stile.
Todd Haynes aveva già descritto le convenzioni patinate dell’America di quegli anni nell’espressivo Lontano dal Paradiso -un’opera del 2002 che per ambientazioni e temi ricorda molto quelle di Carol-, in cui Julianne Moore era riuscita a rendere in modo perfetto la complessa personalità della protagonista. Anche questa volta il regista riesce ad avvalersi delle straordinarie interpretazioni di un’affascinante Cate Blanchett e di un’ottima Rooney Mara. A ciò si si aggiunge la spettacolare fotografia di Ed Lachman, che rievoca gli splendidi ritratti del fotografo americano Saul Leiter.
Eppure, nonostante tutto ciò, la storia non convince. Le due protagoniste con il portato dei loro sentimenti, dolori e aspettative sono rese in modo eccellente dall’interpretazione di Cate Blanchett e di Rooney Mara, ma il sentimento che le lega e la passione da cui sono catturate l’una per l’altra non bastano a dare senso ad un racconto che non soddisfa a pino sul piano descrittivo nè su quello del della denuncia sociale e nemmeno su quello più semplicemente romantico. Carol narra la storia di un desiderio e di un piacere che può essere vissuto a pieno solo a costo di una rinuncia non solo e non semplicemente alle convenzioni imposte dalla società. In realtà la protagonista, Carol, fa una scelta che tocca la persona nell’intimo della sua natura, che stravolge il personaggio ma che di fatto nel film non trova, e difficilmente potrebbe trovare, alcuna giustificazione sufficientemente forte e convincente.
Per questo, sebbene interpretato in modo magistrale, ben scritto e ben girato, Carol resta un film che ha poco da dire sia da un punto di vista umano che da quello sociale.
Vania Amitrano
Laureata in Lettere, amante dell’arte, dello spettacolo e delle scienze umane, autrice di testi di critica cinematografica e televisiva. Ha insegnato nella scuola pubblica e privata; da anni scrive ed esplora con passione le sconfinate possibilità della comunicazione nel web.
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