Imu si, Imu no. Service Tax; o meglio Taser. O Trise. Anzi no, Tuc. O forse Iuc. Che comunque si compone di Tasi e Tari. Ma sotto sotto anche di Imu, che si paga anche sulla prima casa, ma solo di lusso. O forse no, dipende dalle aliquote dei comuni.
Per quanto il balletto spiazzi, e parecchio anche, la giungla delle tasse non è una cosa tanto nuova per gli italiani che, spesso lontani dal burocratese e digiuni di compensazioni o perequazioni, hanno sempre assolto ai loro doveri di contribuenti.
Inizia a diventare un problema serio, però, quando nella giungla sembra finirci anche chi le leggi le fa. Se non venisse da piangere lacrime amare, verrebbe quasi da ridere. Di una risata isterica, visto il disastro che si prospetta per gli italiani, inermi davanti alle nuove sigle, ma che alla fine dovranno pagare l’odiata tassa sulla casa. A prescindere, ovviamente, dal suo nome.
Cerchiamo di venirne a capo.
L’idea di cancellare l’Imu così come voluta da Mario Monti viene dal Pdl nell’ultima campagna elettorale. Una guerra sic et simpliciter: non si deve pagare, diceva l’allora partito –unito- di Silvio Berlusconi, una battaglia portata avanti anche dopo la composizione travagliatissima del governo di larghe intese con il Pd di Enrico Letta.
Il problema dell’abolizione dell’Imu era, ed è, uno solamente, ovvero coprire il gettito mancante, tenendo in equilibrio i conti economici così come chiesto dall’Unione Europea.
Eppure nel momento in cui, ad agosto scorso, Letta formalizza la cancellazione dell’Imu e l’introduzione della service tax, sembra ormai un problema risolto.
Sono il canovaccio sul quale si costruiranno tutte le diverse versioni della nuova imposta sulla casa. Di base, la Tasi è una imposta comunale necessaria agli enti locali per incamerare risorse per i cosiddetti “servizi indivisibili”, ovvero illuminazione, manutenzione stradale e via dicendo.
La Tari, invece, è l’evoluzione della tassa sui rifiuti (già nota con acronimi come Tarsu, Tia, Tares). Il suo impatto è direttamente proporzionale all’aumento del costo di servizio della raccolta e della gestione del ciclo dei rifiuti.
Il tributo si compone, per l’appunto, di Tari e Tasi. La novità introdotta rispetto all’Imu era la gestione diretta da parte degli enti locali, che potranno decidere aliquote, la base imponibile e quali cittadini interessare.
La service tax diventa, all’interno della bozza della legge di stabilità, prima Taser – si, come la pistola elettrica in uso alle forze di polizia d’oltre oceano – e poi Trise.
Le prime valutazioni di impatto sulle tasche dei contribuenti che vengono condotte, però, lanciano i primi allarmi: il trend che viene fotografato per il 2014 è quello di tasse più alte rispetto al 2013, ma inferiori ai tributi pagati nel 2012. Con una aliquota comunale, si badi, bloccata all’uno per mille.
L’arrivo della bozza della legge di stabilità al Senato impegna le forze politiche in un confronto serrato per l’introduzione di correttivi. Molta della battaglia si conduce proprio sul fronte tassa sulla casa. E dagli scranni di palazzo Madama, la Trise, in un emendamento, cambia il nome: diventa Tuc, Tributo unico comunale.
La proposta è del senatore D’Ali, allora esponente del Pdl oggi Ncd: esclusione della prima casa, dei terreni e dei fabbricati rurali, aliquota massima del 10,6 per mille da applicare su seconde case, con aliquote all’8,1 per mille, e sui servizi indivisibili, rispettivamente all’1,5 per mille per gli affittuari e fino al 2,5 per mille per i proprietari.
Al Tuc, rimasto nell’iperuranio delle proposte emendative, ha fatto seguito la Iuc, l’Imposta Unica Comunale. Tre saranno le gambe del tributo: l’Imu, che toccherà le prime case di lusso e le seconde case, la Tari e la Tasi.
Nella bozza licenziata dal Senato, la Iuc prevede detrazioni che partiranno da 200 euro, alle quali si potranno aggiungere ulteriori 50 euro di riduzione a figlio. La Iuc pone inoltre un tetto alle aliquote, che non potranno superare il 10,6 per mille complessivo.
Il 2013 è stato l’anno dell’abolizione più o meno convinta dell’imposta montiana. Fino ad oggi l’unica “sicurezza” che i cittadini erano riusciti a conquistare era la cancellazione della prima rata dell’anno in corso della vecchia tassa sulla casa.
Per quanto riguarda la seconda, infatti, i conti sembravano chiusi la scorsa settimana, quando il ministro Saccomanni ha chiarito:
“la rata sarà a carico del sistema bancario: un terzo viene coperta dagli anticipi sulle imposizioni del risparmio amministrato. Due terzi da anticipi Ires e Irap, a fronte di un aumento delle aliquote del 2014. Si tratta di una tantum sulle banche e con un anticipo cospicuo vicino al 130 per cento, che è accettabile anche dal punto di vista della normativa europea”.
Eppure, anche a fronte di questi trionfalismi, il rischio di vedere aumentare le – altre – tasse è concreto. Secondo la Cgia di Mestre infatti, se l’erario nei prossimi giorni non incasserà quanto previsto dall’aumento dell’Iva e dalla sanatoria sui giochi, “il decreto – si legge – che ha cancellato la prima rata dell’Imu sull’abitazione principale farà scattare la cosiddetta clausola di salvaguardia”. Pertanto, prosegue la Cgia “il ministero dell’Economia, per coprire la parte di gettito mancante, potrà dar luogo ad un provvedimento di legge che preveda l’aumento degli acconti Ires e Irap in capo alle imprese e delle accise sul gas, l’energia elettrica e le bevande alcoliche”.
Non solo.
In concomitanza con la scadenza della prima rata della Iuc, il prossimo 16 gennaio, i cittadini rischiano di dover pagare una mini stangata aggiuntiva per coprire la parte mancante della seconda rata dell’Imu. Proprio quella cancellata in gran pompa dal Governo e che oggi, stando a uno studio della Uil rischia di costare una media di 42 euro a cittadino con aliquota maggiorata.
A guardare conti, sigle e percentuali, però, più che a una calcolatrice viene in mente l’immagine dei classici della letteratura italiana. Al Pasticciaccio brutto di Gadda, o all’Azzecca-Garbugli manzoniano. Immagini comunque poco lusinghiere.
Da qualunque angolatura la si osservi la vicenda “tassa sulla casa” porta con se alcuni chiare, lampanti considerazioni, come la lontananza dalla realtà di non voler utilizzare uno dei beni primari degli italiani per fare cassa, o l’idea di nascondere una patrimoniale dietro un caos di sigle utile al massimo a distogliere l’attenzione da quanto sta accadendo.
La dimensione del disastro arriva dal segretario della Cgil Susanna Camusso, che di fronte a tutto questo ha chiosato con un eloquente “la cosa più seria sarebbe rimettere l’Imu”. A questo punto, come darle torto?
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