La caduta di Michael Flynn ha generato una valanga sulla presidenza di Donald Trump. Il consigliere per la Sicurezza nazionale, il più alto consigliere strategico del presidente USA, si è dovuto dimettere per contatti illeciti con la Russia di Vladimir Putin e per averli tenuti nascosti alle massime cariche dello Stato.
Il generale si è dimesso e ha ammesso le sue colpe, ma potrebbe non aver detto tutto. Per prima cosa non è chiara la tempistica delle rivelazioni. Ieri Sean Spicer, il portavoce della Casa Bianca, ha fatto intendere che Trump sapesse già da settimane che Flynn non aveva detto la verità al vicepresidente Mike Pence.
Il numero due dell’amministrazione, che lo ha difeso in tv, in questo caso avrebbe detto il falso in assoluta buona fede. La verità gli sarebbe stata detta solo il 9 febbraio, due settimane dopo gli altri responsabili della Casa Bianca, scrive oggi la stampa USA. Ma questa risposta apre altre domande a cascata: bisogna chiarire cosa sapesse Trump, quando ne sia venuto a conoscenza e perché non abbia agito contro Flynn prima dello scoop del Washington Post che ha fatto scoppiare lo scandalo.
A Washington il clima è teso. In Campidoglio i democratici chiedono una commissione parlamentare d’inchiesta, che abbia il potere di fare le domande più scomode, e alcuni repubblicani – ad esempio la destra classica che fa capo a John McCain – sembrano volerli assecondare.
Oltretutto, il New York Times ha pubblicato un articolo in cui “quattro fonti ufficiali” si dichiarano “allarmate” dalla quantità di contatti, rivelati da intercettazioni telefoniche, tra servizi segreti di Mosca e collaboratori di Trump. Alla Casa Bianca il presidente ha aperto la caccia alla talpa, ma ormai la notizia è di pubblico dominio e a diversi commentatori ha ricordato le polemiche elettorali sugli attacchi di hacker russi alla campagna di Hillary Clinton.
Fra Mosca e Washington all’improvviso è tornato il freddo, e la Russia ha ripreso a mostrare i muscoli. Secondo fonti dell’amministrazione USA riprese dal New York Times, il Cremlino avrebbe schierato un nuovo missile Cruise, azione vietata dai trattati sugli armamenti che hanno condotto alla fine della Guerra Fredda. Questo obbliga a riconsiderare i fatti dello scorso 10 febbraio, quando, secondo il Pentagono, diversi cacciabombardieri russi si sono avvicinati “pericolosamente” a una nave militare battente bandiera USA nel mar Nero. E ieri Fox News – una rete che non si può accusare di non sostenere Trump, tant’è che oggi, in uno dei suoi tweet mattutini, il presidente l’ha indicata come esempio di rete da seguire, al contrario di MSNBC e CNN – denunciava la presenza di una nave spia al largo della costa Est, all’altezza dello stato del Delaware.
In questi giorni, sempre per bocca di Spicer, l’amministrazione Trump ha fatto marcia indietro all’improvviso sulla crisi del Donbas, e ora vorrebbe che Putin si impegnasse per una “de-escalation” delle ostilità e restituisse la Crimea all’Ucraina: in pratica la linea che predicava Barack Obama. Ma Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, ha spiegato che nella telefonata fra zar Vladimir e Trump la questione della Crimea“non è stata sollevata”. E ha negato l’esistenza di alcun tra servizi segreti russi e collaboratori di Trump, invitando i presenti a non credere ai giornali, “perché al momento è molto difficile distinguere la verità dalle bufale”.
Ha rincarato la dose Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri di Mosca: “La Crimea fa parte della Federazione Russa, e noi non diamo via la nostra terra”.
Anche il dicastero di Sergej Lavrov scenderà in campo nella contesa sulle fake news: la portavoce ha annunciato l’apertura, sul sito del ministero, di una sezione di notizie inattendibili – scelte dal Cremlino – pubblicate dalle maggiori testate occidentali. Ad esempio, quella che vorrebbe il whistleblower Edward Snowden, che ora vive in una località segreta in Russia, consegnato a Washington come segno di distensione. Strali anche contro Richard Ferrand, il collaboratore del candidato alle presidenziali francesi Emmanuel Macron che ha accusato testate russe come Sputnik e RT di esercitare “una certa influenza” nella vita democratica francese.
Domani, a Bonn, il ministro Lavrov incontrerà la sua controparte USA Rex Tillerson. Lavrov resterà in Germania fino a fine settimana: venerdì a Monaco di Baviera vedrà il segretario NATO Jens Stoltenberg, sabato a Berlino parteciperà a una riunione del quartetto Normandia, il tavolo delle trattative fra Russia e Ucraina alla presenza di rappresentanti di Francia e Germania. Il programma prevede anche incontri con altri suoi colleghi, come l’iraniano Mohammed Javad Zarif.
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