Fino ad ora delle infiltrazioni criminali di Expo 2015 dedicato a “nutrire il pianeta, energia per la vita si è parlato in buona parte solo in termini di “appalti truccati”, “tangenti” e “intollerabili ritardi” ma il nostro Paese, in particolare il nostro Made in Italy, è sotto tiro da parte di organizzazioni criminali nazionali e transnazionali in grado di movimentare nel giro di pochi secondi enormi risorse finanziarie derivanti da traffici illeciti planetari di ogni tipo e natura, e tra questi anche traffici illegali di alimenti.
E’ quanto emerge dal terzo Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, presentato questa mattina nella sede romana di Coldiretti a Palazzo Rospigliosi, che suona l’allarme sulla possibilità che da questa straordinaria occasione di visibilità per il Made in Italy, l’Expo che a maggio aprirà a Milano i battenti, derivi il rischio di una invasione di migliaia di tonnellate di prodotti e generi alimentari commercializzati come prodotti tipici o eccellenze, per un valore anche superiore ai 60 miliardi.
E’ un pericolo che va affrontato con stringenti misure di rafforzamento dell’attività di controllo sui flussi commerciali e una maggiore trasparenza sulle informazioni in etichetta sulla reale origine degli alimenti.
La conferma di quanto denunciato nel Rapporto Agromafie viene dalle decine di inchieste giudiziarie. Ad esempio, i limoni sudamericani che sono immessi sul mercato come limoni della penisola sorrentina; gli agrumi nordafricani che si trasformano in agrumi siciliani e calabresi; le cagliate del Nord Europa con le quali si produce la mozzarella italiana, spacciata per originale mozzarella di bufala; il grano proveniente dal Canada. che entra attraverso i porti pugliesi e diventa puro grano della Murgia per la produzione del famoso pane di Altamura. Per non parlare poi di quello che succede con l’olio e con il pomodoro. Tonnellate e tonnellate di olio provenienti da Tunisia, Marocco, Grecia e Spagna entrano nel nostro Paese per produrre un olio comunitario che viene miscelato con lo straordinario olio extravergine d’oliva italiano al fine di poter raddoppiare illegalmente i profitti e collocare sul mercato milioni di bottiglie di apparente olio italiano (perché così riportato fraudolentemente sulle etichette) con illeciti profitti a vantaggio di speculatori e contraffattori. Su richiesta delle autorità italiane, le autorità inglesi hanno sequestrato ed eliminato dalla catena di supermercati inglesi Harrod’s migliaia di bottiglie di un olio denominato “Tuscan Extravirgin Olive oil”, un prodotto che di italiano e toscano non aveva assolutamente nulla.
La contraffazione sta seriamente minando il mercato del Made in Italy alimentare colpito quest’anno da una vera e propria carestia nei suoi prodotti simbolo. Nel 2015 sugli scaffali dei supermercati ci sarà infatti il 35 per cento in meno di olio di oliva italiano, ma anche un calo del 25 per cento per gli agrumi, del 15 per cento per il vino fino al 50 per cento per il miele, mentre il raccolto di castagne è al minimo storico. C’è il rischio, dunque, di un aumento delle frodi a tavola. Più a rischio i cibi low cost dietro i quali spesso si nascondono spesso ricette modificate attraverso l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi ma che possono mascherare anche vere e proprie illegalità, come è confermato dall’aumento dei sequestri. Se ormai è un dato di fatto ad esempio che i consumatori vedranno sulle loro tavole oli non del tutto italiani, quando non completamente provenienti da paesi esteri, secondo Coldiretti il mercato europeo dell’olio di oliva, con consumi stimati attorno a 1,85 milioni di tonnellate, rischia di essere invaso dalle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza. Un allarme che riguarda soprattutto l’Italia, il principale importatore mondiale di olio per un quantitativo pari a 460mila tonnellate. Betacarotene, clorofilla, oli di semi e olio di sansa, sono i veri nemici dell’extravergine d’oliva. Il rischio infatti è che entrino nel circuito della distribuzione alimentare prodotti fortemente adulterati, manipolati attraverso l’aggiunta di additivi o imbottigliati in maniera fraudolenta. Che il calo della produzione registrato quest’anno esponga ad un incremento delle frodi lungo tutta la filiera dell’olio è dimostrato dalla recente operazione “Olio di carta” condotta dall’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari. Le indagini coordinate dalla Procura di Trani, con la collaborazione della Guardia di Finanza, hanno fatto emergere un sistema complesso di frode agroalimentare in Puglia e Calabria, che si estendeva in regioni “non sospette” come Toscana e Liguria. Un giro di false fatture per oltre 10 milioni di euro relativo al commercio di più di 500mila litri di extravergine, per un valore commerciale complessivo di 3 milioni. I controlli degli Uffici dell’Agenzia sulle aziende attive nel commercio internazionale di prodotti agroalimentari nell’ambito dei flussi esteri di olio di oliva hanno rilevato prezzi di transazione medi dichiarati su valori di 2,50 e 3 euro per kg di prodotto con la Tunisia che nel 2013 si conferma ancora il principale fornitore extracomunitario di “olio di oliva”.
Altrettanto incredibile ed inquietante è quanto accade nel mercato illegale del pomodoro. Dagli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla contraffazione della scorsa legislatura si apprende che arrivano dalla Cina milioni di tonnellate di pomodori che diventano strumento di un’imponente opera di contraffazione ai danni del consumatore, il quale si trova sugli scaffali dei supermercati conserve e barattoli di pomodori riportanti il tricolore italiano, ma contenenti in realtà pomodori provenienti dalla Cina. Ed è bene che si sappia – osservano Coldiretti, Eurispes e Osservatorio Criminalità nell’agroalimentare – che questi pomodori cinesi sono coltivati e prodotti nei “laogai” , veri e propri campi di concentramento nei quali sono ammassate decine di migliaia di detenuti politici, dissidenti, piccoli criminali, soggetti ostili al regime, i quali (come nei campi di concentramento nazisti) sono costretti a lavorare fino a diciotto ore al giorno. Se gli standard sanitari sono diversi rispetto a quelli dell’Unione Europea, la produzione in Cina sembra essere anche realizzata con sfruttamento del lavoro forzato dei detenuti da parte di molte imprese cinesi impegnate nell’export alimentare, secondo la denuncia di Laogai National Foundation.
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