“L’Italia è un paese sicuro. Noi confidiamo di poter subito raggiungere un risultato contenitivo del contagio da coronavirus”. Ora il premier Giuseppe Conte è tranquillo, tanto da poter affermare con una certa sicurezza, in conferenza stampa, che in riferimento ai casi di focolai di Coronavirus “L’Italia è un paese sicuro, forse molto più sicuro di altri. E’ un paese sicuro, nel quale si può viaggiare e si può venire a fare del turismo. Ci sono delle aree delimitatissime del nostro territorio che in questo momento abbiamo assoggettato a delle restrizioni, ma sul resto del territorio si può viaggiare tranquillamente”.
Ora il previdente del Consiglio è tranquillo, dicevamo. Ma ieri non lo è stato affatto. Tanto da potersi permettere di affermare che i casi di Covid-19 in Lombardia si erano moltiplicati a causa della “gestione di una struttura ospedaliera non del tutto propria secondo i protocolli prudenti che si raccomandano in questi casi”. Con evidente riferimento all’ospedale di Codogno, la struttura sanitaria che ha accolto il primo paziente risultato dopo giorni positivo al virus cinese. Secondo Palazzo Chigi i medici non avrebbero seguito le regole provocando il contagio del Coronavirus. Accuse che sommate alle affermazioni del tipo “nessuno deve andare per la sua strada o creiamo confusione, dobbiamo sempre adottare provvedimenti in piena concordia” hanno infastidito la Regione a guida leghista. L’assessore Giulio Gallera e il governatore Attilio Fontana hanno definito “ignobile” l’attacco di Conte e rivendicato di aver seguito alla lettera le indicazioni fornite dal governo nelle circolari ministeriali.
“Il sistema sanitario nazionale, strutturato su base regionale” richiede un “coordinamento” rispetto ad un’emergenza “di carattere nazionale” come il Coronavirus, ha detto Conte in un’intervista a Raiuno in onda ieri sera verso le 23,40, aggiungendo che è quanto sta cercando di realizzare con i presidenti delle Regioni. “In assenza di un tale coordinamento” si renderanno necessarie misure che “conterranno le prerogative dei Governatori” ha precisato.
Il presidente della Regione Lombardia giudica l’ipotesi del premier di contrarre le prerogative dei governatori in materia di sanità “parole in libertà che mi auguro siano dettate dalla stanchezza e dalla tensione di questa emergenza”.
Carte alla mano la ragione è dalla parte del governatore lombardo che, insieme all’omologo veneto, al trentino e al friulano qualche settimana fa avevano firmato insieme una lettera indirizzata a Palazzo Chigi con la quale si chiedeva di essere messi in condizione di aumentare i controlli per il Coronavirus. “Ma siamo stati accusati di essere razzisti e di voler diffondere il panico”, dice Fontana che ricorda anche cosa assicurò il presidente del Consiglio il 3 febbraio: ‘Fidatevi di me, ci penso io’, disse. “Adesso quindi non può venire a dire che siamo noi i responsabili”.
Il fulcro della polemica, e anche dell’emergenza Coronavirus, ruota attorno alla storia clinica di M.Y.M., il “paziente uno” risultato positivo al test del Covid-19. Il 38enne, secondo quanto raccontato dai familiari, soffre i primi sintomi influenzali intorno al 14 febbraio. Il 18 si presenta in pronto soccorso, si fa visitare, non è grave e quindi viene rimandato a casa. Solo il giorno successivo, il 19, a causa del peggioramento delle condizioni scatta il ricovero. I test daranno esito positivo: Mattia è positivo al Coronavirus e Codogno si trasforma nel centro dell’epidemia italiana. L’inizio di tutto.
Il viavai dal nosocomio ha sicuramente favorito l’amplificazione dell’epidemia (come spiegato da Massimo Galli, primario del Sacco di Milano), ma non è l’ospedale di Codogno il “focolaio” contro cui accanirsi. In molti si sono chiesti: perché i medici hanno dimesso Mattia prima di fargli un tampone? Perché non appena si è presentato in ospedale con la febbre non è stato isolato? Semplice: perché le leggi (e le indicazioni del Iss) non lo prevedono. A dimostrare che i medici della struttura sanitaria lodigiana non sono da crocifiggere, ci sono le circolari e le ordinanze prodotte dal governo e dal ministero della Salute. Documenti che, in teoria, il premier Conte dovrebbe conoscere.
La prima circolare da tenere a mente è la numero 1997 emessa il 22 gennaio dal ministero. “I casi sospetti di nCoV – si legge – vanno visitati in un’area separata dagli altri pazienti e ospedalizzati in isolamento in un reparto di malattie infettive, possibilmente in una stanza singola, facendo loro indossare la mascherina chirurgica”. Indicazioni logiche, ovviamente. Cui si aggiungono quelle per la protezione degli operatori sanitari. Il “problema” è che Mattia nei primi giorni non rientrava tra i casi di “paziente sospetto”, almeno non secondo la definizione scritta dallo stesso ministero (aggiornata con la circolare del 27 gennaio). Le ipotesi previste dal documento sono due: 1) è da considerarsi un “caso sospetto” la persona che evidenzi una “infezione respiratoria acuta grave” con “febbre e tosse che ha richiesto il ricovero in ospedale” e che abbia una “storia di viaggi o residenza in aree a rischio della Cina, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia”, oppure sia “un operatore sanitario che ha lavorato in un ambiente dove si stanno curando pazienti con infezioni respiratorie acute gravi ad eziologia sconosciuta”; 2) è inoltre “sospetta” una persona “con malattia respiratoria acuta” che abbia avuto un “contatto stretto con un caso probabile o confermato da nCoV”, che abbia “visitato o lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan” oppure “lavorato o frequentato una struttura sanitaria” dove “sono stati ricoverati pazienti con infezioni nosocomiali da 2019-nCov”.
Nessuno di questi era il caso di Mattia, che all’inizio sembrava avere solo una normale influenza e non necessitava di ricovero. Alle prime domande dei medici, peraltro, il “paziente uno” aveva raccontato solo di “un viaggio a New York” e non ricordava contatti con soggetti rientrati dalla Cina. Solo al momento del ricovero, dunque il 19 febbraio, la moglie – e non lui direttamente – ricorderà della cena tra il marito e un amico tornato dalla Paese del Dragone (peraltro poi risultato negativo al test). È a quel punto che è scattata la procedura: il paziente è stato sottoposto a test, il pronto soccorso chiuso e il personale ospedaliero messo in quarantena. Prima non si poteva fare altrimenti. Paradossalmente, se la moglie di Mattia non avesse rivelato la (falsa) pista del collega imprenditore, forse al 38enne nessuno avrebbe fatto il tampone. Nessuna “falla” nel sistema lombardo, dunque. (ricostruzione di GDL su Il Giornale)
Caro Conte, come ha commentato il governatore Fontana, speriamo “che queste uscite siano una voce scappata, senza renderti conto, oppure vuol dire che il governo inizia ad essere preoccupantemente fuori controllo”.
Il tavolo del governo si è aperto questa mattina con parole di distensione del premier Giuseppe Conte verso le Regioni, dopo le sue frasi di ieri sulla possibilità di comprimere i poteri regionali che avevano aperto lo scontro. Conte avrebbe spiegato di essere stato frainteso e di aver sempre lavorato in massima collaborazione con i presidenti di Regione.
Sul fraintendimento però ha sentito il dovere di intervenire il presidente della regione Piemonte, Alberto Cirio, sottolineando che la situazione a livello locale non è stata affatto sottovalutata. Semmai, “se ci sono stati problemi, è che si è sottovalutato a livello nazionale nelle settimane passate la situazione. Noi invece non abbiamo sottovalutato nulla. Il dato è che da sei casi sono diventati tre e oggi sono stabili, un dato che ci conforta ma non si abbassa la guardia. L’allarmismo non paga ma neanche la superficialità. La bambina, con la mamma positiva, non ha ancora oggi il Coronavirus, un dato che umanamente ci fa sorridere. Ho chiesto a Conte di attivare da subito le misure per le attività commerciali, non ho voluto chiudere come in Lombardia le attività e sono contento che lo stesso abbia fatto Zaia. L’ordinanza è modulabile”.
Ma la tensione è latente. E come accaduto in mattinata quando un tecnico del governo è intervenuto per sostenere la scarsa utilità delle mascherine per prevenire il contagio – intervento che sarebbe stato interpretato dai rappresentanti delle Regioni, in collegamento con Roma, come una frenata rispetto alla richiesta al governo di sostegno al reperimento delle mascherine – C’è senza meno dietro l’angolo un prossimo argomento che sarà nuovo motivo di dissidi. Che non sono dovuti a differenti approcci. Gli stessi che vedono le forze politiche contrapposte non trovarsi d’accordo nemmeno sulle misure cautelari in caso di emergenze. E’ ancora possibile tutto questo, in un Paese che cade a pezzi?
A.B.
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