Quanti danni fa la corruzione in Italia? Moltissimi, a giudicare dall’ultimo rapporto di Transparency International. Il nostro paese è al 61° posto su 168 nella classifica mondiale dei punteggi sull’indice di corruzione percepita registrato nel 2015, ma è al penultimo posto fra i 28 stati dell’Unione europea.
Il punteggio italiano, in realtà, è migliorato: fra il 2014 e il 2015 abbiamo guadagnato un punto (da 43 a 44 su un massimo teoricamente possibile di 100) e scalato otto posizioni (eravamo al numero 69). Ma i paesi UE che erano classificati peggio hanno fatto balzi più lunghi e ci hanno superati, con l’eccezione della Bulgaria, ferma a 41 punti, mentre Grecia e Romania si sono attestati sui 46.
Poche sorprese da testa e coda della classifica, con i punteggi più alti assegnati ai paesi dell’Europa del nord – guida la Danimarca con 91 punti, seguita a una lunghezza dalla Finlandia – e Somalia e Corea del nord fanalini di coda (otto punti a testa).
L’Italia è a metà classifica fra i G20, dove guida la Germania (83 punti) seguita da Canada e Regno Unito (81). Ci piazziamo a pari merito con il Sudafrica, molto sopra Messico (39), Argentina (32) e Russia (29), ma sotto Corea del sud (56) e Arabia saudita (52).
“Per compiere un salto di qualità importante occorre un ruolo più forte della società civile”, suggerisce il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello.
“Constatiamo con piacere che finalmente si è avuta un’inversione di tendenza, seppur minima rispetto al passato” – commenta il presidente di Transparency Italia, Virginio Carnevali – “che ci fa sperare in un ulteriore miglioramento per i prossimi anni”.
Come dimostra la cronaca, la strada è ancora molto lunga e in salita, ma con la perseveranza i risultati si possono raggiungere. Una società civile più unita su obiettivi condivisi e aventi come focus il bene della res publica porta un contributo fondamentale al raggiungimento di traguardi importanti.
Il metodo usato dai ricercatori di Transparency prevede di aggregare i risultati di sondaggi d’opinione realizzati da almeno tre fonti per paese. I soggetti intervistati non sono i comuni cittadini, ma esperti della materia e personalità del mondo economico.
Vale la pena fondare l’analisi sulle impressioni delle persone? Sì, sostiene l’ONG: “Non esiste un modo affidabile per calcolare i livelli assoluti di corruzione di Paesi o territori sulla base di dati empirici oggettivi”. E i dati ufficiali, calcolati secondo l’entità delle tangenti scoperte e sul numero delle sentenze emesse, misurano solo “quanto procure, tribunali o media sono efficaci nell’investigare e portare allo scoperto la corruzione”.
L’approccio di Transparency non è il migliore teoricamente possibile, insomma, ma resta uno dei migliori che si possano usare in queste concrete circostanze. E poi, oltre le questioni di metodo scientifico, è considerato attendibile dal mondo fuori dalle porte dell’accademia. Lo attestano il numero e l’influenza delle istituzioni che se ne servono: ad esempio la Commissione UE, la Banca mondiale, l’OCSE, e in Italia la Corte dei Conti e la Confindustria.
Non bisogna dimenticare che le decisioni prese a tutti i livelli – dalla scelta di una pizzeria alla decisione del FMI su un pacchetto miliardario di aiuti a un governo – non si fondano solo su dati oggettivi e incontrovertibili, ma anche sulle percezioni di chi decide e sulla reputazione delle parti in causa.
Se ne è accorto prima degli altri il mondo della finanza, che già da anni si fa guidare dalle valutazioni delle agenzie di rating. Ma la reputazione è sempre più importante anche nell’economia di tutti i giorni, specialmente nei mercati virtuali, dove il riscontro dei clienti è la più utile testimonianza dell’affidabilità (o no) dei venditori. Funzionano così i veri e propri negozi online come Amazon o eBay, e la stessa dinamica è alla base del mercato di servizi come AirBnB, Uber o Tripadvisor.
Qualche anno dopo se ne è accorto anche il governo: secondo la riforma del sistema degli appalti approvata dal Senato lo scorso 14 gennaio, nella valutazione delle imprese interviene anche la reputazione, calcolata in base al loro comportamento nei contratti precedenti.
F.M.R.
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