A provocare la morte di Stefano Cucchi potrebbe essere stato un attacco epilettico. Si legge nel verbale di 250 pagine depositato dai periti nominati dal GIP Elvira Tamburelli nell’inchiesta-bis sulla sua morte, avvenuta il 22 ottobre 2009, una settimana dopo essere stato arrestato per droga.
L’ipotesi “dotata di maggiore forza ed attendibilità”, si legge nel documento, è quella di una “morte improvvisa ed inaspettata per epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti-epilettici”. E con questi stessi farmaci potrebbero aver interferito due “concause favorenti”: la tossicodipendenza di Cucchi e la “condizione di severa inanizione” in cui versava negli ultimi giorni, ossia l’estremo indebolimento fisico causato dalla mancanza di alimentazione.
Un’altra ipotesi “possibile” è che la morte di Cucchi sia legata alla “frattura traumatica di S4 – la quarta vertebra sacrale, ossia il quarto dei cinque segmenti ossei fusi tra loro che compongono l’osso sacro, NdR – associata a lesione delle radici posteriori del nervo sacrale”. Anche questa è un’ipotesi “possibile”, ma quella legata all’epilessia sarebbe “dotata di maggiore forza ed attendibilità”. In ogni caso, i dati raccolti dai periti “non consentono di formulare certezze sulla(e) causa(e) di morte”. Ma più avanti nel rapporto si legge che “Le lesioni riportate da Stefano Cucchi dopo il 15 ottobre 2009 non possono essere considerate correlabili causalmente o concausalmente, direttamente o indirettamente anche in modo non esclusivo, con l’evento morte”.
A firmare l’atto sono stati quattro medici: i professori Francesco Introna, dell’Istituto di medicina legale del Policlinico di Bari, e Franco Dammacco, Clinico medico emerito dell’Università di Bari, e i dottori Cosma Andreula (neuro-radiologo presso l’Anthea Hospital del capoluogo pugliese) e Vincenzo D’Angelo (neurochirurgo della Casa Sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo).
Stefano Cucchi era stato trovato in possesso di cocaina e hashish e arrestato la notte fra il 15 e il 16 ottobre 2009 dai carabinieri del comando stazione di Roma Appia. Il giorno seguente era stato processato per direttissima e il giudice aveva deciso di sottoporlo a custodia cautelare in carcere. All’udienza si era presentato con vistosi ematomi intorno agli occhi e difficoltà a camminare e parlare. Lo stesso giorno era stato visitato all’ospedale Fatebenefratelli, dove gli erano state diagnosticate tre fratture (due alle vertebre e una alla mascella), contusioni in tutto il corpo e un’emorragia alla vescica. I medici del Fatebenefratelli avevano raccomandato il suo ricovero immediato, che invece avvenne solo il giorno successivo, nel braccio carcerario dell’ospedale Pertini, dove morì il 22 ottobre. I familiari ebbero sue notizie solo quando un ufficiale giudiziario li contattò per notificare l’autorizzazione all’autopsia. Quando era stato arrestato Cucchi era già patologicamente sottopeso – pesava solo 43 chilogrammi su 176 centimetri di altezza – ma al momento della morte aveva perso altri sette chili.
L’inchiesta-bis aperta dalla Procura di Roma vede indagati cinque carabinieri: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco per lesioni personali aggravate e abuso d’autorità, Roberto Mandolini per falsa testimonianza, Vincenzo Nicolardi per falsa testimonianza e per aver fornito informazioni false al PM.
Il primo processo era stato istruito contro cinque medici del Pertini accusati di concorso in omicidio colposo. Sono stati tutti assolti in appello lo scorso 18 luglio “perché il fatto non sussiste”, in un processo che la Cassazione aveva ordinato di ripetere dopo aver annullato il primo verdetto d’assoluzione.
F.M.R.
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