Claudio Cupellini riempie la sala all’anteprima del suo ultimo lavoro, Alaska, alla Festa del Cinema di Roma. “Con questo film volevamo essere spudoratamente romantici” dice il regista “e raccontare una storia che parlasse della ricerca della felicità e del dedalo di ostacoli che ad essa si frappongono”.
Alaska è la storia di due personaggi, Nadine e Fausto, completamente soli al mondo legati l’uno all’altra da un amore tanto forte quanto instabile. “Cercavamo di dare corpo ai personaggi” spiega Cupellini “anche indipendentemente dalla storia, dando loro autonomia perché acquisissero autenticità”.
E in effetti il pregio di questo film consiste proprio nella costruzione dei personaggi, in particolare quello di Fausto, interpretato da un ottimo Elio Germano. Fausto è un giovane cameriere di un lussuosissimo ed esclusivo albergo parigino, in cui conosce Nadine, giovane aspirante modella. Per fare colpo su di lei e difenderla, Fausto finisce in prigione per due anni, ma da lì continuerà a mantenere un filo diretto con Nadine scrivendole tutte le settimane. Intanto la ragazza comincia a fare carriera come modella e quando Fausto esce dal carcere si fa trovare pronta ad accoglierlo. Nonostante l’amore però Fausto continua a nutrire grandi ambizioni. Di qui la storia prosegue complessa e articolata in una maniera che la fa somigliare più ad una sorta di fiction breve che ad un film.
Alaska racconta gli errori, le cadute e i tradimenti dei due protagonisti per ben 125 minuti, in un confluire di generi diversi. Infatti alla storia d’amore tra i due si intrecciano situazioni problematiche di delinquenza e grandi aspirazioni al guadagno che fanno tanto pensare più alla serie Gomorra, di cui Cupellini ha diretto numerosi episodi, che non a film come Lezioni di cioccolato, commedia romantica che il regista ha diretto nel 2007.
Il clima del film un po’ carico d’ansia e di una certa irrisolvibile tristezza a cui non c’è mai tregua appesantisce la visione e confonde. La storia vorrebbe rappresentare una sorta di percorso di crescita dei due protagonisti verso una concezione dell’amore e della felicità intesa più come dono da offrire che come furto e traguardo da raggiungere anche a discapito degli altri. Tuttavia il discorso si perde in un impianto drammaturgico articolato e affollato di momenti e passaggi assai diversificati tra loro. E anche se il finale vuole costituire una chiusura del cerchio della storia, giunge in modo frettoloso, soprattutto rispetto allo scrupoloso andamento dell’intero film, tanto da apparire un po’ sciatto, come buttato là per dare una conclusione.
Vania Amitrano
Laureata in Lettere, amante dell’arte, dello spettacolo e delle scienze umane, autrice di testi di critica cinematografica e televisiva. Ha insegnato nella scuola pubblica e privata; da anni scrive ed esplora con passione le sconfinate possibilità della comunicazione nel web.
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