Ogni anno finiscono in discarica migliaia di milioni di tonnellate di indumenti.Solo in Italia si butta nei cassonetti un tesoro da 36 milioni di euro in abiti usati che se eliminati diversamente si potrebbero recuperare dal costo di smaltimento dei rifiuti urbani, sottraendo 240.000 tonnellate di tessile dalla discarica. Tra vestiti, maglioni, camicette, pantaloni e accessori vari, infatti, con una raccolta differenziata mirata non sarebbe difficile recuperare rifiuti tessili da 3 a 5 chili pro-capite l’anno, gli stessi che invece finiscono gettati nell’immondizia insieme a tutta l’altra spazzatura.
Bisogna tenere presente che, su scala internazionale, un chilo di abiti usati raccolti riduce di 3,6 kg le emissioni di anidride carbonica, di 6.000 litri il consumo di acqua, 0,3 kg di fertilizzanti e 0,2 kg di pesticidi. Viene dunque da sé che oltre a perseguire l’obiettivo di ridurre del 15% carbonio, acqua e rifiuti in discarica, entro il 2020, sarà il caso di raggiungere quanto prima una riduzione del 3,5% dei derivanti da capi d’abbigliamento.
Per questo il Regno Unito lancia il piano d’azione abbigliamento sostenibile (Scap), proponendo ai cittadini di prolungare la durata dei loro vestiti al fine di evitare, appunto, che finiscano in discarica 350 mila tonnellate di indumenti, per un valore approssimativo di 168 milioni di euro. Del progetto si sono fatti carico negozi di moda tra cui Tesco, M&S e Next, la stilista Stella McCartney e associazioni di beneficenza.
Secondo la campagna, le famiglie britanniche a fronte dello spreco esorbitante quantificato in 350 mila tonnellate di stoffa in discarica, hanno in casa 36 milioni di euro in vestiti che non sono stati indossati nel corso dell’ultimo anno. La famiglia media nel Regno Unito compra circa 2 mila euro di indumenti ogni anno.
La campagna è stata sviluppata da Wrap, l’organizzazione dietro “Love food hate waste”, che aiuta i consumatori a sprecare meno cibo. E, come si fa attenzione a non buttare cibo, per il vestiario
non ottenere il massimo da loro scambiando e combinando capi di abbigliamento, riparando gli oggetti preferiti, vendendo o donando ai negozi di beneficenza significa non apprezzare quel denaro duramente guadagnato”, dice l’amministratore delegato di Wrap.
Wrap ha anche lanciato una campagna per i consumatori, ”Love your clothes”, il sito web che dà consigli su come si può prolungare la vita dei vestiti, risparmiare denaro e tenerli fuori dalla discarica, su come scegliere l’abbigliamento adeguato perché duri più a lungo, sull’acquisto di abbigliamento di seconda mano, sull’utilizzo di metodi di lavanderia a basso consumo energetico che mantengono i vestiti in buono stato, riparazione e modifica, così come donare, scambiare o vendere oggetti indesiderati. Il sito mostra anche come vestiti troppo danneggiate o rovinate possono ancora essere donati per il riciclaggio piuttosto che finire nella spazzatura.
Se vengono rispettati gli obiettivi della campagna Scap, nel Regno Unito ci si aspetta un risparmio annuo di carbonio equivalente a rimuovere 250 mila automobili dalla strada.
Guardando invece all’Italia, negli ultimi dieci anni la percentuale di raccolta della frazione tessile è raddoppiata, passando dallo 0,11% allo 0,22%. A gestire il settore è attualmente il CONAU, il Consorzio Nazionale Abiti Usati, che ha come obiettivo assicurare, razionalizzare, organizzare, disciplinare e gestire la raccolta di abiti e accessori usati provenienti dalla raccolta differenziata che è la condizione indispensabile per garantirne il recupero attraverso il riutilizzo e il riciclo.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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