Palmira è stata riconquistata dalle mani dell’ISIS. La città è sotto il “pieno controllo” dell’esercito e delle milizie fedeli al presidente Bashar al-Assad, che l’hanno strappata ai jihadisti con l’aiuto dell’aviazione russa. Lo ha annunciato la tv di Stato siriana, citando fonti militari, ma lo confermano gli attivisti – tutt’altro che filo-governativi – dell’ONDUS, l’Osservatorio nazionale siriano per i diritti umani, una ONG che ha sede a Londra.
La città, che ospita uno dei siti archeologici più importanti del Medio Oriente, protetto dall’UNESCO, è rimasta dieci mesi nelle mani dell’ISIS, che anche qui come altrove ha fatto scempio delle preziose rovine nel folle tentativo di cancellare e riscrivere la storia.
Erano stati gli stessi jihadisti a pubblicare le immagini della demolizione del tempio di Ba’al Shamin; altre foto scattate da satelliti durante l’occupazione mostrano il tempio di Bel e le tombe a torre della necropoli ridotte a cumuli di macerie. Si tratta senza dubbio di perdite inestimabili: i monumenti distrutti risalgono a più di duemila anni fa, quando la città, che sorge in un’oasi nel mezzo del deserto siriano, era una delle più ricche dell’Impero romano. Ironia della sorte, erano stati costruiti in uno stile “internazionale” ante litteram, che fondeva influenze greche, latine e persiane, a testimonianza della coesistenza pacifica e florida di varie culture e varie religioni negli stessi luoghi. Perdite che si aggiungono alle spoliazioni e agli sfregi commessi a danno dei reperti conservati nel museo cittadino: negli ultimi giorni le immagini delle sale vuote hanno fatto il giro del mondo. Ma gli archeologi sono ancora convinti che Palmira possa tornare grande e che si possa ricostruire almeno una parte consistente di quanto è stato distrutto.
La comunità scientifica – dice a France Presse Maamoun Abdulkarim, il responsabile della gestione del patrimonio archeologico siriano – “si aspettava il peggio”. Invece “il paesaggio, in generale, è in buone condizioni”. Senza dubbio alcuni monumenti non torneranno più com’erano prima. Ma sono molti di più quelli che sono stati risparmiati dalla furia iconoclasta dei jihadisti. Sono stati distrutti quelli legati in qualche modo alle pratiche religiose preislamiche, come templi e tombe, e gli edifici più conosciuti, per sbalordire e spaventare l’opinione pubblica mondiale. C’è un’eccezione importante: il teatro romano, praticamente intatto, che i miliziani hanno usato per mettere in scena esecuzioni capitali.
Per strappare la città dalle mani dei jihadisti sono serviti giorni di bombardamenti. Il ministero della Difesa russo ha fatto sapere di aver colpito 158 bersagli e ucciso più di cento militanti dell’ISIS. Secondo calcoli dell’ONDUS, negli scontri sono morti almeno 400 uomini del Califfato. Prima di iniziare a ricostruire bisognerà pensare a bonificare la zona dalle mine disseminate dai jihadisti in ritirata: per questo, secondo quanto ha annunciato l’agenzia di stampa di regime SANA, sta arrivando da Mosca una squadra di professionisti. Nel frattempo gli sminatori siriani hanno già rimosso circa 150 ordigni esplosivi. In ogni caso il professor Abdulkarim si è detto pronto a iniziare la conta dei danni e il censimento dei monumenti appena le autorità militari gli daranno via libera. Prima della guerra, il sito archeologico attirava nel bel mezzo del deserto siriano circa 150 mila visitatori ogni anno.
Bashar al-Assad ha definito la ripresa di Palmira un “risultato importante” nella “guerra al terrorismo”. Il presidente ha ricevuto le congratulazioni di Vladimir Putin: secondo quanto ha riferito il Cremlino, Assad ha a sua volta riconosciuto che l’avanzamento “non sarebbe stato possibile senza il sostegno della Russia”.
Oggi come nell’antichità, Palmira è in una posizione strategica importante, sulla rotta principale che attraversa il deserto siriano. Ma secondo quanto hanno osservato gli analisti, l’operazione ha un’importanza ancora maggiore dal punto di vista psicologico. Non ha indebolito più di tanto l’ISIS, che detiene ancora saldamente il potere a Mosul, Raqqa e Deir el-Zor. Ma ha dimostrato che i miliziani del Califfato non sono invincibili. Le armate di Abu Bakr al-Baghdadi avevano perso terreno già la scorsa primavera, ma subito dopo avevano contrattaccato in forze ed erano entrate a Palmira, in Siria, e a Ramadi, in Iraq. Oggi, poco meno di un anno dopo, le due città sono tornate nelle mani dei rispettivi governi.
Non è il momento di abbandonarsi all’entusiasmo: la sconfitta del sedicente Stato islamico è ancora lontana, e nelle prossime settimane c’è da aspettarsi un contrattacco. Il tipo e l’entità delle contromisure suggeriranno quanto potere ha ancora l’ISIS, almeno in Medio Oriente. Ma anche se la bestia si rivelasse ferita a morte e capace solo di un colpo di coda, la situazione resterebbe comunque rischiosa, in Siria ancora più che in Iraq. Ogni centimetro perso negli ultimi giorni dai jihadisti è un centimetro guadagnato dal regime di Assad, che ne ha approfittato prontamente per accusare gli Stati occidentali di “non fare sul serio” nella lotta all’ISIS. Questo significa che giorno dopo giorno il regime si rinforza contro le opposizioni appoggiate da USA e alleati, con tutte le complicazioni immaginabili per gli assetti futuri della Siria, quando – ammesso che si vinca la guerra – si dovrà gestire la pace.
Filippo M. Ragusa
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