The Dark Side of the Moon compie 43 anni. Era il 24 marzo del 1973 quando comparve nei negozi di dischi l’ottava fatica in studio dei Pink Floyd.
Il successo di Dark Side è difficile da spiegare, ma ancor prima da descrivere. Per calcolarlo occorrono i grandi numeri e l’aiuto della statistica: più di 50 milioni di copie, disco più venduto del mondo fino ai tempi di Michael Jackson, 741 settimane di permanenza ininterrotta nella top 200 di Billboard.
La copertina di Storm Thorgerson riassume bene il contenuto: sfondo nerissimo, con il profilo di un prisma che scompone la luce bianca nei colori dell’iride. Un’icona, ma semplice da capire e facile da riprodurre, alla portata di qualsiasi essere umano. Bastava pensarci. Si potrebbe dire lo stesso della ruota. Linee nette, colori puri, nulla che non abbia senso nella composizione d’insieme. È la metafora di un disco registrato a regola d’arte, in cui ogni spunto musicale, ogni sottolineatura, ogni inserto, ogni effetto è catturato e trasformato in gioiello. È una testimonianza dell’abilità del tecnico del suono – Alan Parsons –, del livello tecnologico degli studi – Abbey Road –, ma soprattutto dell’attenzione maniacale che il gruppo riservò alla produzione oltre che all’esecuzione, al come oltre che al che cosa. Naturale, a questo punto, che un’opera del genere conquisti il pubblico.
Sul valore musicale di Dark Side è stato scritto di tutto, a proposito e a sproposito. Questa è una prova sufficiente di un altro suo valore: quello di un fenomeno sociale che ha una vita a sé stante. È pieno di contraddizioni, di opposti che sembrano inconciliabili, eppure coesistono. Intriso di filosofia, ma libero da sofismi. Colto, ma comprensibile. Personale, con i testi che distillano angosce e paure di Roger Waters, ma commerciale, come testimonia il suo successo planetario.
Di tutte le sue contraddizioni, una delle più evidenti è la scelta di Money come brano “in vetrina” da proporre alle radio (anche se nel Regno Unito il singolo sarà pubblicato solo anni dopo). Un brano sulla carta difficile, suonato in tempo dispari (ci sono argomenti validi sia per sostenere i 7/4 che per i 7/8), lungo ben sei minuti e mezzo, che sferza l’avidità e la grettezza della società moderna; e nonostante tutto risulta orecchiabile e stravende, rendendo ricchissimi i suoi autori.
Dark Side è probabilmente uno dei dischi più amati del mondo, sicuramente uno dei più ascoltati, e vanta innumerevoli tentativi di imitazione e di omaggio. Ma per misurarne la grandezza come fenomeno sociale è utile anche fare caso alle reazioni negative che ha generato nei suoi 43 anni di vita. È anche uno dei dischi più odiati del mondo.
L’anima iconoclasta del movimento punk, che verso la fine dei ’70 esplose nel mondo musicale come una bomba atomica, si nutriva di simboli da sfregiare. Serviva un bersaglio, un gruppo da eleggere a simbolo del rock “classico”, dei dinosauri, degli ipertecnici. Sulle magliette dei Sex Pistols – che non affidavano niente al caso, telecomandati com’erano dal manager Malcolm McLaren – comparvero le facce dei componenti un gruppo ben preciso. Né i Led Zeppelin, né gli Who. Occorre spiegare chi?
Filippo M. Ragusa
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