Crolla il manifatturiero in Italia
Parla di “dati pesanti” e “bollettini di guerra” Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, a margine della presentazione del rapporto redatto dal Centro Studi di via dell’Astronomia sugli scenari industriali in Italia. Un’indagine che mette a nudo il declino che il settore manifatturiero ha patito e sta ancora patendo in questi anni: 5% di calo produttivo tra il 2007 e il 2013, che vale all’Italia due posti in meno, dietro India (+6,2%) e Brasile (+0,8%), nella classifica della produzione manifatturiera globale.
Un Giorgio Squinzi visibilmente preoccupato
Dal 2000 si sono persi un milione 160mila posti di lavoro, 120mila le fabbriche scomparse nel medesimo arco di tempo. Forse, però, il dato più eloquente è quello dei volumi prodotti a livello mondiale: +36,1% mentre in Italia è calata di un quarto: 25,5%.
In dettaglio, l’Italia fa registrare picchi negativi nelle industrie di computer e macchine per uffici, settore che ha visto il quasi totale azzeramento della produzione, e in quello dei tabacchi. Si è dimezzata invece la produzione elettronica, quella del comparto automobilistico e dei settori tessile, pelletteria e legno.
Anche i settori di traino della produzione interna al nostro Paese, abbigliamento e carta, si attestano nelle parti basse della classifica mondiale.
Sono la scarsa domanda interna e la socializzazione produttiva del sistema industriale, da cui consegue un disallineamento della struttura di produzione, le ragioni del trend diametralmente inverso dell’Italia rispetto alle altre realtà mondiali.
Per Squinzi,però, ”non significa che la nostra industria e i nostri imprenditori siano immobili e rassegnati. Tutt’altro. Danno grandi segni di insospettata vitalità”.
Secondo il numero uno di Confindustria, tuttavia, per garantire il vero rilancio bisogna guardare “senza preconcetti a una stagione di nuova politica industriale, che non sceglie chi deve fare che cosa, ma individua le traiettorie dello sviluppo globale e orienta in modo non dirigistico ma condiviso le scelte della domanda e dell’offerta”.
Squinzi chiede anche che venga riconosciuto all’industria “il ruolo centrale che le compete e siano avviate in modo strutturale, e con grande convinzione, le misure di politica industriale che i nostri concorrenti hanno già adottato”.
Nessun vittimismo però verso “un destino crudele e ineluttabile: siamo noi che possiamo e dobbiamo costruire il nostro futuro. Occorre un salto di mentalità, una svolta chiara e decisa”. Per farlo la priorità deve essere il lavoro, che deve “orientare tutte le nostre azioni, le nostre scelte, le nostre decisioni a livello di imprese, di Confindustria, di governo, di istituzioni europee”, soprattutto se viene chiesto ai settori produttivi di “resistere e poi rispondere a una produzione industriale caduta del 5% annuo nel nostro Paese, alla retrocessione di tre posizioni nella graduatoria mondiale dei paesi più industrializzati, dal 5° all’8° posto, e a un Pil diminuito del 9%, con le conseguenze che purtroppo conosciamo sull’occupazione e le condizioni di vita delle famiglie italiane”.
Un messaggio chiaro al governo, che già deve fare i conti con il quadro durissimo rappresentato dalla Corte dei Conti sulla finanza pubblica.
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