Una delegazione italiana ha visitato Gabriele Del Grande, il reporter e documentarista italiano detenuto da dieci giorni in Turchia senza un’accusa formale.
Del Grande è in un centro di detenzione amministrativa a Mugla, sulla costa del mar Egeo. È stato arrestato il 10 aprile nella provincia di Hatay, al confine con la Siria. Prima dell’incontro con i diplomatici, il suo unico contatto con l’esterno è stato una breve telefonata alla sua famiglia, ieri, in cui ha detto che le autorità turche non gli hanno ancora spiegato il motivo del fermo.
La visita della delegazione, partita dal consolato italiano di Smirne (Izmir), era stata richiesta secondo il protocollo dal ministro degli Esteri Angelino Alfano attraverso l’ambasciatore ad Ankara Luigi Mattiolo.
“Ho in fase di lavorazione un contatto mio personale e diretto con il Governo turco”, ha detto Alfano da Pescara, dove si trova per un incontro con investitori stranieri, “per fargli capire chiaramente qual è il livello di attenzione del nostro Paese su questa vicenda”.
“Sto bene”, ha detto Del Grande nella telefonata di ieri; “non mi è stato torto un capello ma non posso telefonare, hanno sequestrato il mio cellulare e le mie cose, sebbene non mi venga contestato nessun reato”. Ha anche detto che mentre parlava era circondato da quattro agenti di polizia, e ha affermato di voler iniziare uno sciopero della fame per chiedere il rispetto dei diritti che gli riconosce la legge turca.
I miei documenti sono in regola, ma non mi è permesso di nominare un avvocato, né mi è dato sapere quando finirà questo fermo. La ragione del fermo è legata al contenuto del mio lavoro. Ho subito interrogatori al riguardo. Ho potuto telefonare solo dopo giorni di protesta.
Del Grande – che ha 35 anni, è nato a Lucca e vive a Milano – ha scritto i libri Mamadou va a morire, Il mare di mezzo e Roma senza fissa dimora, e ha collaborato con Internazionale, l’Unità, Redattore sociale e Peace Reporter. Ma è noto soprattutto per la collaborazione con Fortress Europe, un blog dove documenta i flussi di migranti attraverso il Mediterraneo, e per aver diretto nel 2014 – con altre tre persone – il documentario Io sto con la sposa, su un gruppo di profughi palestinesi e siriani che mettono in scena un finto matrimonio per arrivare in Svezia.
Del Grande è in Turchia per intervistare profughi siriani per il suo ultimo libro, Un partigiano mi disse, sulla guerra in Siria e sulla nascita dell’ISIS. All’inizio sembrava che il suo fermo fosse dovuto al fatto che non aveva con sé il permesso stampa. Poi però il ministero degli Esteri ha spiegato che si trovava “in una zona del paese” in cui non era “consentito l’accesso”.
Un giorno dopo l’arresto, fonti diplomatiche rimaste anonime avevano detto alla stampa italiana che sarebbe stato espulso nella mattinata di giovedì 13 aprile, ma non è accaduto niente di tutto questo.
“La Farnesina chiede con insistenza” – si legge nella nota diffusa ieri dal ministero degli Esteri – “che Gabriele Del Grande possa ricevere regolare assistenza legale e consolare”. Oggi a Roma Luigi Manconi, presidente della Commissione per i diritti umani del Senato, ha incontrato l’ambasciatore turco Murat Salim Esenli. Massimo riserbo sul contenuto del colloquio, durato più di un’ora.
Intanto si moltiplicano le voci che chiedono al governo italiano di fare pressione su quello turco: tra gli altri sono intervenuti la Federazione nazionale stampa italiana, l’associazione internazionale per la libertà di stampa ISF (Information safety and freedom) e diverse personalità della politica e della cultura. Sui social network dilaga da giorni l’hashtag #iostoconGabriele, e oggi Il Tirreno ha dedicato la prima pagina all’appello “Gabriele libero”.
F.M.R.
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