Il fatto che fosse una consultazione minore, di quelle che raramente si prendono in seria considerazione, ed il fatto che il test riguadasse due roccaforti, una “rossa” l’Emilia e Romagna grazie ai fortilizi e ai presidi Pd e l’altra “nera”, la Calabria, ovvero da collocare nell’area del centrodestra perchè presidiata dai potentati di Fi, avevano illuso i responsabili della politica e dello stesso governo che alla fine tutto si sarebbe risolto in un voto di routine.
Qualche ulteriore strappo in materia di astensionismo, un po’ più di voti ai grillini e alle estreme di destra e di sinistra ma nessun dubbio che non c’erano da temere cazzotti nello stomaco o schiaffi in pieno viso. Ieri le urne di queste due regioni, tranquille e spigolose al tempo stesso, hanno mostrato l’altra faccia della luna ed hanno emesso un verdetto che lascia di sasso.
Prima indicazione. Gli italiani non amano la politica. Cominciano a provarne disgusto. Oggi come oggi più che di disaffezione nel rapporto urne partiti si può parlare di separazione non consensuale, tragica e conflittuale. Nella paciosa e ricca Emilia e Romagna l’astensionismo raggiunge il 62,3%. Vota un cittadino su tre aventi diritto. Nel 1970 la percentuale di chi esprimeva il proprio voto era vicinissima al 100%.
Seconda indicazione. Crescono, tra i pochi che votano, quanti vogliono stabilità politica. E dal confronto, non proprio all’ultimo sangue vista l’assenza di veri outsider, il governo, con i consensi che sia in Emilia che in Calabria hanno visto premiati gli uomini del Pd espressi dalla maggioranza che si riconosce in Matteo Renzi, ne esce indubbiamente rafforzato anche se il premier farà bene a non sottovalutare quanti, in numero sempre maggiore stanno decidendo di abbandonare la casa della politica.
Terzo elemento fondamentale. Il minitest elettorale provoca un autentico capovolgimento dei rapporti di forza nella galassia destra e decreta la parola fine per Berlusconi e la sua Forza Italia, scesa ormai abbondantemente sotto la soglia delle due cifre, e lascia al palo tutte le altre piccole destre ridotte alla metà della loro forza nazionale. Ma a destra, il voto designa un nuovo leader, il capo della Lega Matteo Salvini che in una botta sola surclassa Fi, ridimensiona Fratelli d’Italia e si guadagna sul campo il titolo di interlocutore di Matteo Renzi e non certo a livello regionale. Dunque fa bene a parlare di “fatto storico” perchè con il voto di domenica la Lega Nord con Forza Italia, in preda ad una crisi ormai irreversibile, rischia di calamitare nell’immediato futuro ciò che resta del centrodestra. Un risultato, è bene dirlo, ottenuto grazie alla identità manifestata e alla semplicità di obiettivi e chiarezza di scopi portati avanti in una campagna elettorale dove, a livello locale, più che di problemi e contenuti ci si è scontrati sugli schieramenti (soprattutto a sinistra) e sugli uomini.
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