Capitan Lahm alza al cielo del Brasile la Coppa del Mondo
Cade anche il tabù Sudamerica. Il calcio tedesco completa il suo fantastico ciclo e sale sul tetto del mondo al Maracanà di Rio de Janeiro. Una bella e orgogliosa Argentina domata da un guizzo del subentrato Goetze al 113′, quando i calci di rigore sembravano l’epilogo inevitabile e più giusto della XX edizione dei Campionati Mondiali. Messi, protagonista negativo, battuto dai tedeschi e dall’ombra ingombrante di Maradona.
Gioia tedesca al fischio finale
“Il calcio è uno sport semplice: ventidue uomini in calzoncini inseguono un pallone e alla fine vincono i tedeschi“, diceva tempo addietro il grande Gary Lineker . Non è sempre stato così, ovviamente e la Nationalmannschaft non vinceva un trofeo dall’Europeo d’Inghilterra del 1996 e stavolta, per vincere, ha dovuto attendere veramente il finale di una vicenda che sembrava destinata all’epilogo della roulette russa dei calci di rigore. Ma, alla fine, la Germania ha vinto. E, diciamolo subito, è stato giusto così se si guarda al torneo brasiliano nella sua interezza. Non altrettanto se ci si limita ad una disamina del solo atto conclusivo. L’Argentina non è stata solamente una degna damigella d’onore che ha venduto carissima la pelle. I sudamericani hanno avuto il controllo mentale, prima ancora che tecnico, per larghi tratti della partita. Hanno rischiato pochissimo contro una squadra presentatasi forte di un impressionante bottino di 17 reti all’attivo, e hanno avuto le occasioni più nitide (palo di Hoewedes a parte) per volgere il match dalla loro parte. La partita quasi perfetta. Quella che voleva dai suoi Sabella. Senza neppure il disturbo di dover “sporcare” più di tanto il gioco più “rotondo” dei tedeschi che di spazi dove far avanzare i propri panzer ne hanno pure avuti, ma si sono “incartati” da soli, innervositi più ancora che dagli scorbutici avversari, dal peso della posta in gioco e di una tradizione recente che, ad onta della celebre frase dell’attaccante di Tottenham, Everton e Barcellona, li aveva visti sempre respinti ad un passo dal sogno. C’è quel “quasi” però. E, a certi livelli, non si tratta di dettagli. La difesa, fino alla mancata copertura su Goetze al 113′ (ma a quel punto concentrazione ed energie erano ridotte al lumicino), ha retto alla grande, il centrocampo dei lentopede, ha tenuto botta sia in interdizione che in appoggio agli avanti. A mancare all’appello, in casa albiceleste, sono stati soprattutto i fantastici solisti dell’attacco, con la loro stella polare in testa: Leo Messi.
Lionel Messi sembra non capacitarsi della sua prestazione
Ai margini del match per lunghi tratti della partita, autore di un (per lui) inusuale errore con il solo Neuer davanti, apatico, emotivamente distante dalla vicenda non fosse stato per l’ennesimo conato di vomito, evidente sintomo che la partita la sentiva eccome, che lo ha reso meno etereo e molto più vicino a noi umani ma che non è certo un buon indice di tenuta nervosa. E, in questo Mondiale delle tante lacrime, degli psicologi, della difficile gestione dell’ansia e del carico di aspettative, come i brasiliani, è crollato anche lui. Sotto il peso di un fardello supplementare, quello rappresentato dall’ombra lunga di Diego Armando Maradona. Colui che si caricò sulle spalle compagni di squadra, sogni, speranze di un intero paese. E che vinse, quasi da solo, il Mondiale di Messico ’86, mancando di un nonnulla il bis (con una squadra sensibilmente peggiore di quella di quattro anni prima) a Italia ’90. E in grado di replicare il tutto a Napoli (seppure con alle spalle una squadra decisamente più forte della Selecciòn), dove lo scudetto non lo aveva mai visto nessuno prima nè lo avrebbe riassaporato alcuno dopo di lui. Un leader. Poi incapace di gestire se stesso e il suo successo e finito dagli altari alla polvere, d’accordo. Ma, indiscutibilmente, un leader. Un uomo che di errori ne ha commessi, tanti, e alcuni di gravità assoluta. In questo molto umano. Anche troppo. Ma, una volta in campo, in grado di incanalare la tensione dell’evento in energia positiva. Trascinante. No, non avrebbe mai vomitato in campo, Diego. E non che ci sia nulla di male a farlo. Ma lui, l’Evento (nel caso di una finale di un Mondiale con l’iniziale rigorosamente maiuscola) non lo subiva. Lo aggrediva. Come faceva con la vita. Finchè questa non si ribellò (“Giocò, vinse, pisciò, fu sconfitto“, l’incipit di un capitolo a lui dedicato da Eduardo Galeano in “Splendori e miserie del gioco del calcio”).
Diego Armando Maradona alza al cielo del Messico la Coppa del Mondo del 1986
Ma questa è un’altra storia. Quella di Messi , nella notte del Maracanà, era giunta ad un bivio: o rimanere confinato nel recinto, pur sempre ristretto, dei fuoriclasse oppure spiccare il volo verso l’Olimpo. Maradona, Pelè, Di Stefano e, forse, Cruijff, Beckenbauer e Schiaffino non dovranno aggiungere un posto a tavola.
Ma non è stato il solo Messi a far cilecca. Il “pipita” Higuaìn si è divorato la prima, vera e più clamorosa palla-gol della finale. Solissimo davanti a Neuer. Ottimamente imbeccato dal migliore degli assist possibili: quello, di testa, di un avversario (nel caso, un Kroos lontanissimo parente dell’autore della doppietta al Brasile), in grado di neutralizzare anche il più oliato dei meccanismi del fuorigioco. Ma per l’attaccante del Napoli dev’essere stato un regalo così inatteso e così bello da rimanere a contemplarlo quella frazione di secondo di troppo. Rimontato da dietro, con la minacciosa sagoma di Neuer a venirgli incontro, il “pipita” , dopo l’esitazione, accelerava i tempi della battuta. Il gesto da armonioso diventava sincopato e il tiro, ciabattato d’interno, si perdeva, incredibilmente, a lato. Peccato perchè Higuaìn nella partita c’era, eccome. Vivo, presente in area, pronto sia ad allargarsi che a stringere al centro. La solita partita di sacrificio, nobilitata da piedi sopraffini. Il treno giusto, poi, sembrava ripresentarsi poco dopo. Stavolta era rete e il “pipita” poteva mondarsi dai suoi errori urlando al mondo tutta la propria felicità. Tutto inutile. Fuorigioco. Anche netto, peraltro ( e non solo suo). Urlo “tardelliano” ricacciato in gola. Altri treni non sarebbero più passati dalle sue parti. Al suo posto Rodrigo Palacio. Anche l’interista, nel primo tempo supplementare, avrebbe avuto il suo appuntamento con la Storia (sempre iniziale maiuscola). Ma avrebbe tremato come già fatto con l’Olanda: stop di petto sbagliato, tentativo di rimediare con un lob, stavolta di piede, e nulla di fatto.
Gonzalo Higuaìn si dispera per la ghiottissima occasione persa
L’altro eroe negativo della sera del Maracanà è stato Alejandro Sabella, il colto Ct argentino (le sue citazioni del Rubicone rimarranno impresse nella memoria degli appassionati), tanto bravo nell’impostare una partita molto meno difensiva e attendista del previsto, quanto scellerato nella scelta dei cambi: togliere un Lavezzi molto brillante nel primo tempo e autentica spina nel fianco sinistro della difesa tedesca per far posto al “kun” Aguero che non avrebbe indovinato una giocata una, non è stata una mossa felice. Anche tatticamente discutibile perchè ha intasato le vie centrali restringendo il fronte d’attacco argentino. E Higuaìn, visti gli scampoli di gara non esattamente entusiasmanti giocati da Palacio, un altro treno lo avrebbe meritato. Oltre ad un fischio arbitrale meno ostile in occasione di un’uscita quasi “alla Schumacher con Battiston” di Neuer.
L’uscita ad alto rischio di Neuer su Higuaìn
La puntualità negli appuntamenti, invece, non è certo uno dei difetti tipici dei tedeschi. Nervosi, imprecisi, con pochissime idee, a tratti irriconoscibili, con pochissime occasioni all’attivo. Nel primo tempo, il solo Miro Klose, voglioso di rimuovere la memoria negativa della finale persa a Yokohama nel 2002 con il Brasile, ma forse proprio perchè con una simile esperienza già nel bagaglio, (a differenza degli altri compagni neofiti in fatto di finali), creava crismi di di pericolosità, recuperando palloni preziosi anche in ripiegamento. Ma per apprezzare una conclusione vera indirizzata nello specchio di Romero bisognava attendere l’ultimo frame del primo tempo con le parate dell’estremo della Selecciòn su Schuerrle e Kroos e, soprattutto, con l’inzuccata prepotente di Hoewedes che, in pieno recupero, scuoteva il palo alla sinistra dell’eroe della semifinale. Una partita strana, in fondo, perchè Loew, il grande favorito della vigilia, contrariamente al collega argentino, aveva dovuto correggere in corsa ben due volte una formazione che, a pochi minuti dal fischio d’inizio di Rizzoli, doveva essergli ben chiara in mente. Ma Khedira imitava lo Sneijder della “finalina” e si infortunava nel riscaldamento. Dentro il giovanissimo (e già seguitissimo da mezza Europa, Napoli in testa) Kramer. Poi, dopo una manciata di minuti, anche la stellina del Borussia Moenchengladbach andava k.o. dopo un durissimo impatto con la spalla di Garay. Rimaneva in campo, visibilmente sotto shock, ma al 31′ doveva alzare bandiera bianca. Schuerrle dentro e Loew costretto a ridisegnare la sua squadra passando dal 4-3-3 ad un 4-2-3-1. Considerato anche l’approccio molto aggressivo degli argentini, non una finale nata sotto i migliori auspici per i favoriti d’obbligo.
Il gol-partita di Mario Goetze
Anche l’avvio della ripresa, pur con un’Argentina che con l’ingresso di Aguero era passata ad un 4-3-3 ma in versione molto prudente, è tutto di marca sudamericana. E’ il momento in cui è Messi, ottimamente servito dal laziale Biglia, a mancare il vantaggio con un diagonale di sinistro indirizzato verso il palo lungo che si perde a lato. Subito dopo sarebbe arrivata l’uscita a valanga di Neuer che travolgeva Higuaìn. Poi, cala l’Argentina ( e qui le scorie del giorno in meno di riposo con i trenta minuti in più nella semifinale con l’Olanda cominciano a farsi sentire) e salgono i ritmi dei tedeschi che, però, tengono molto palla ma senza particolare costrutto. In area argentina si entra poco e, quando la palla si alza, la contraerea formata da Garay-Demichelis rispedisce al mittente tutto. Loew prende atto che l’autonomia di Klose è quella che è ( 36 primavere alle spalle pesano anche se ti preservi…) e lo sostituisce con Goetze. Con quello di Schuerrle, l’inserimento che risulterà decisivo. La Germania ha più benzina, preme, sempre confusa, ma ora almeno convinta. E Kroos spreca l’invito a nozze di Oezil, unico lampo della serata del trequartista del Real. Sabella toglie un esausto Pèrez (buon Mondiale quello del vice- Di Marìa, ma quanto ha pesato l’assenza del titolare…) ma lo fa, incomprensibilmente, con il lentissimo e inutile Fernando Gago. In coppia con Biglia, il risultato è una manovra al rallentatore, come nella Capitale ben possono immaginare i tifosi di entrambe le sponde del Tevere. Comprensibile che, nei supplementari, il povero Mascherano abbia i crampi… Nell’extra time le due squadre spendono le ultime riserve di un carburante che, anche in casa tedesca, comincia a scarseggiare. Romero para agevolmente una conclusione da ottima posizione ma piuttosto “telefonata” di Schuerrle e poi c’è il pasticciaccio brutto di Palacio. Nel secondo tempo supplementare, il gioco latita, i riflessi pure e, logica conseguenza, i falli e le entrate fuori tempo aumentano a vista d’occhio. Si aspettano i rigori, sembra anche l’epilogo più giusto, ma non sono d’accordo gli unici due che, anche perchè subentrati, sono in grado di correre: Schuerrle s’invola sulla sinistra, Goetze segue l’azione stringendo al centro, Demichelis, fin lì impeccabile, si distrae o, più semplicemente, non ce la fa più e così, su centro del bomber di scorta di Mourinho, il 22enne che il Bayern ha strappato ai rivali del Borussia Dortmund per 37milioni di euro fa capire il perchè di tale cifra: controllo perfetto e sinistro a incrociare sul palo lungo dove Romero non può arrivare. E’ la rete che taglia le gambe a un’Argentina che ha dato tutto e che non ne ha più e che, di fatto, chiude la contesa. Un gol bellissimo non solo per l’incredibile peso specifico, ma anche perchè l’angolo a disposizione era veramente molto ridotto. Quel che segue è solo un’ininterrotta rissa da calcio fiorentino con Rizzoli che “sporca” un pò la sua prestazione lasciando i cartellini nel taschino. Comunque, metro arbitrale equanime: graziati del giallo Mascherano e , forse, Aguero da una parte e un eccezionale e stoico (finisce con il volto rigato di sangue stile Rocky contro Ivan Drago) Schweinsteiger dall’altra. L’ultimo sussulto è una punizione per l’Argentina da posizione invero, molto lontana: Messi si presenta per tentare il miracolo. Palla in curva. Festa tedesca. L’Olimpo degli dei del calcio aveva emesso il proprio verdetto.
La corsa pazza di Goetze. A tentare di “braccarlo” Thomas Mueller
La Germania si laurea così campione del Mondo per la quarta volta nella propria storia (nel ’54 e nel ’74 come Germania Ovest, nel ’90 come Germania unita, le precedenti affermazioni), raggiungendo l’Italia nella graduatoria dei paesi plurivincitori, una tacca dietro al solo Brasile. Rispettata anche la regola del 24, tanti erano stati gli anni che avevano separato il terzo dal quarto trionfo mondiale del Brasile (1970-1994) e dell’Italia (1982-2006). Capitan Lahm, giocatore ubiquo se ce ne è uno, può alzare felice la Coppa del Mondo consegnatagli dal presidente del Brasile, Dilma Rousseff, fischiata dal pubblico del Maracanà (ma mai quanto Blatter opportunamente comparso una sola volta nelle immagini proiettate sul maxischermo), ora attesa dalla sua partita della vita: le presidenziali brasiliane ad ottobre che si preannunciano difficili come lo è il momento della Seleçao.
Ha vinto la Germania che corona con la vittoria più importante un’ incredibile teoria di piazzamenti eccellenti : 2° nel 2002, 3° nel 2006, 3° nel 2010. In mezzo, la finale persa all’Europeo del 2008 e la semifinale in cui Balotelli le mostrò i muscoli nel 2012 (una vittoria, quel 2-1, che questo trionfo tedesco rivaluta pesantemente).
Ha vinto la squadra più organizzata. La più forte del Mondiale. Non la più forte ieri. Ma dall‘Olimpo del calcio avevano fatto sapere che lì non c’era più posto.
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