7-0! Questo è il punteggio complessivo con cui il Bayern ha archiviato la pratica Barça umiliando i catalani, già orfani del loro nume tutelare, anche al Camp Nou, fornendo l’ennesima dimostrazione di straripante superiorità in questa Champions e raggiungendo a Wembley i connazionali del Borussia Dortmund. Per la quarta volta nella storia della massima competizione continentale, quindi, a contendersi la “Coppa dalle grandi orecchie” saranno due formazioni dello stesso paese. Era accaduto agli spagnoli (Real-Valencia nel 2000), a noi ( Milan- Juve nel 2003) e agli inglesi (Manchester United-Chelsea nel 2008). Mancavano all’appello solo loro, i tedeschi, per completare il pantheon delle grandi potenze dell’Europa del pallone. Ma non è questa annotazione statistica, pur di assoluto rilievo e spia dell’eccellente stato di salute del movimento teutonico, a far clamore. È il modo in cui si è arrivati alla definizione delle due finaliste e il valore delle avversarie sconfitte a rendere queste due semifinali il segno di un’epoca. Se anche la fine di quella dominata per anni dal tiki-taka (tiqui-taca in spagnolo) è presto per dire, ma di sicuro il calcio tedesco ha posto le premesse per inaugurare un suo ciclo dagli orizzonti temporali ancora indefiniti e indefinibili. Non un buon segnale per gli altri. Quindi, anche per noi, ridotti a sperare che in Europa League non vinca il Benfica per respingere l’assalto portoghese alla nostra sempre più traballante quarta posizione nel ranking Uefa. Niente “remuntada” del Barça con il Bayern e si poteva anche supporre, così come solo sfiorata la “remontada” del Real con il Borussia (fatti contenti sia i cultori del catalano che del castigliano). Due grandi doppie sfide ispano-tedesche che hanno offerto entrambe una vincitrice tedesca ma attraverso percorsi molto diversi. Un Bayern, già straripante la settimana scorsa all’Allianz Arena dove aveva sotterrato sotto un pesantissimo 4-0 i blaugrana pur con l’”aiutino” di due, forse tre, gol irregolari su quattro ma parsi addirittura un atto di doverosa giustizia nei confronti di una squadra cui un successo di misura sarebbe stato strettissimo, ha concesso una ancor più impressionante replica al Camp Nou con un 3-0 ancor più perentorio e un’esibizione di superiorità imbarazzante . Del resto che l’impresa fosse disperata si sapeva e che tra le ramblas ci credessero poco lo si era capito ancor prima del fischio quando le telecamere hanno inquadrato un mesto Lionel Messi seduto in panchina. “Non avvertiva buone sensazioni. Abbiamo deciso assieme e preferito non rischiarlo”, le parole del tecnico, Vilanova. Beh, se non si è disposti a correre dei rischi in una gara che è l’ultima che conta nella stagione ( la Liga è ormai a conque punti dall’acquisizione e in Copa del Rey il Barça è stato eliminato dagli eterni rivali del Real), vuol dire che anche la speranza è morta e sepolta. Ma con Messi in campo le cose sarebbero andate diversamente? Forse il Barcellona non avrebbe lasciato l’impressione che non avrebbe trovato la via della rete neanche se si fosse giocato per due giorni, ma la sostanza non sarebbe cambiata. Bayern troppo più forte. E più cattivo. Una furia agonistica che sta dimostrando da inizio stagione e che non ha risparmiato ancora nessuno, né in Europa né in Germania con un meisterschale già da tempo annesso. Una rabbia che trova le sue radici nell’incredibile finale persa lo scorso anno con il Chelsea, nelle circostanze più crudeli ( ai rigori, dopo aver dominato, esser passati in vantaggio, raggiunti a soli due minuti dallo scadere, in casa e contro una squadra manifestamente inferiore anche perché falcidiata dalle squalifiche). Gioia, invece. E’ la sensazione che si prova nel vedere all’opera i giallo neri dell’istrionico (comunque, autentico, va detto) e bravissimo Jurgen Klopp. Il 4-1 rifilato alle merengues a Dortmund era stato un inno al bel calcio: coraggioso, sempre propositivo, molto veloce e votato alle verticalizzazioni. Un bel vedere. Se possibile, più bello del Bayern. Al Bernabeu, però, è mancata la continuità per tutti i novanta minuti e la circostanza è quasi costata la qualificazione. Almeno tre le partite che si sono viste a Madrid: nella prima, quella dei venti minuti iniziali, il Real avrebbe potuto segnare almeno tre volte contro una difesa svagata e dalle maglie larghissime. Poi, controllo, dominio e occasioni in quantità per il Borussia e se Lewandowski non avesse mandato in campo la controfigura sciupona e il genietto Gundogan non avesse graziato Lopez (straordinario, non una buona notizia per Casillas) anche al Bernabeu ci sarebbe scappato il blitz. Infine, dieci minuti leggendari del Real, nella sua versione più “tremendista” con un uno-due cui, si fosse giocato un solo minuto in più, si sarebbe aggiunto anche il gol-qualificazione contro un avversario completamente groggy. Questa la differenza sostanziale tra le due finaliste: il Bayern non conosce pause, è asfissiante dal primo al novantacinquesimo (in Baviera sanno bene quanto contino quei minuti in più…), il Borussia è parimenti travolgente ma ogni tanto i suoi giovani talenti perdono concentrazione. Contro il Bayern non è ammissibile. Ciò detto, la finale dovrebbe riservare, in realtà, un equilibrio maggiore di quel che si possa credere proprio perché il Borussia non starà dietro a farsi martellare ma giocherà a viso aperto. E ha le armi per dar fastidio ai “rossi”, non impermeabili dietro contro giocatori tecnici e veloci come quelli di Klopp. Sbaglia chi crede che il Borussia sia solo un eccellente collettivo e che le individualità di classe abbondino solo sull’altra sponda. Semplicemenrte, il Bayern ha i mezzi per acquistare campioni ( come ha già fatto con Gotze che, se recuperato, giocherà la sua ultima gara in giallo nero prima di accasarsi a Monaco e così pure, ma le smentite di rito sono già pervenute, sembrerebbe con Lewandowski) mentre in Westfalia se li devono crescere in casa. Per poi vederli andar via. E, a proposito di gente che va, al termine del match del Bernabeu non c’è stata la tanto attesa conferenza stampa unificata Mourinho-Perez, ma il succo è stato chiarissimo lo stesso: lo Special One, in rotta con i giornalisti iberici e parte dello spogliatoio blanco, andrà “dove mi amano”. Ossia, al Chelsea. E questa è un’ottima notizia per Casillas.
D.P.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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