Più che un film una pièce teatrale per il grande schermo. Dobbiamo parlare è un progetto interessante divertente in cui teatro, letteratura e cinema convergono per creare un film originale e classico al tempo stesso. Sergio Rubini, Fabrizio Bentivoglio, Isabela Ragonesi e Maria Pia Calzone lo hanno presentato ieri in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.
Attore, regista e sceneggiatore, Sergio Rubini, sebbene affermi il contrario, si muove con disinvoltura dal teatro al cinema. In questo film ha sviluppato un’idea molto semplice fondata sulla forza delle parole, tanto di quelle dette quanto di quelle non dette, e per farlo ha chiesto l’aiuto a due scrittori veri, Diego De Silva e Carla Cavallucci. Il risultato è stato una brillante commedia che diverte ma al tempo stesso riesce a toccare temi, per certi versi, assai drammatici.
La storia è semplice e si sviluppa, proprio come potrebbe accadere per una commedia teatrale, in un arco di tempo assai limitato, dalla sera alla mattina, in un unico ambiente, l’attico in cui Vanni (Sergio Rubini), scrittore affermato, convive con la sua compagna Linda (Isabella Ragonesi), di 20 anni più giovane, che lo aiuta nel comporre i suoi romanzi. I loro programmi per la serata vengono prepotentemente interrotti dall’arrivo di Costanza (Maria Pia Calzone), dermatologa e amica di Elisa, che cerca conforto dopo aver scoperto la relazione extraconiugale di Alfredo (Fabrizio Bentivoglio), suo marito, chirurgo romano di successo. La vicenda a questo punto procede per ellissi, tra il comico e il drammatico, proponendo uno spaccato della società che si muove tra il mondo della piccola borghesia e quello radical chic. I quattro cominciano a parlare tra loro, di loro e delle relazioni che li legano. Recriminazioni, offese, accuse e tradimenti reciproci, ma anche improvvise complicità frutto di un’intima frequentazione, cominciano a saltare fuori alternando momenti dolorosi a situazioni piacevoli e divertenti.
Vera protagonista del film resta però la parola con tutto il suo peso e il portato di verità che essa possiede. La felicità e l’amore sono aspetti scandagliati da più punti di vista. Da un lato c’è il matrimonio visto quasi come un accordo, una sorta di alleanza fatta di compromessi, a volte anche dolorosi, ma funzionali ad un equilibrio che offre stabilità. Dall’altro c’è la convivenza, tutta fondata sui sentimenti, sui quali però è difficile fare completo affidamento.
L’appartamento in cui la storia si sviluppa finisce col diventare una sorta di campo di battaglia in cui restano solo i vinti, vittime di un amore che è visto più come un un sentimento problematico che come una straordinaria sfida da intraprendere per la vita.
Alla fine dunque il discorso resta comunque piuttosto aperto e il titolo potrebbe tranquillamente trasformarsi in una domanda: Dobbiamo parlare? Perché in effetti “parlare”, a ben vedere, nella prospettiva un po’ drammatica del film, può diventare rischioso. Un po’ come scoperchiare aspetti di un vissuto personale, non del tutto reale, difficili da accettare e che tutto sommato forse sarebbe meglio non conoscere
Nel suo alternare regia e recitazione in questo film Rubini ricorda un po’ Allen vecchia maniera, ma con caratteristiche del tutto italiane. “E’ stato complicato ma anche altamente formativo.” racconta il regista e attore “Eravamo 25 persone chiuse di notte a girare in un appartamento romano. Abbiamo vissuto come in una dimensione parallela, ma siamo fieri di ciò che abbiamo fatto“. E aggiunge ancora: “Non è vero che la mancanza di fondi sia sempre uno svantaggio. Nel nostro mestiere bisogna necessariamente saper reinventarsi, imparare a disimparare, per trovare nuovi moduli e nuove chiavi. Posso dire che questa esperienza in realtà ci ha ringiovaniti“.
Vania Amitrano
Laureata in Lettere, amante dell’arte, dello spettacolo e delle scienze umane, autrice di testi di critica cinematografica e televisiva. Ha insegnato nella scuola pubblica e privata; da anni scrive ed esplora con passione le sconfinate possibilità della comunicazione nel web.
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