Il governo indonesiano ha scelto la linea dura contro i trafficanti di droga, e malgrado la mobilitazione contro la condanna a morte di nove persone ha deciso di procedere con le fucilazioni.
Graziata soltanto Mary Jane Fiesta Veloso, unica donna del gruppo, di nazionalità filippina.
Uno solo dei nove condannati era di nazionalità indonesiana: tre erano nigeriani, due australiani, un brasiliano e un ghanese.
Nove bare bianche, il colore che in Indonesia è simbolo del lutto, erano già arrivate nell’isola-carcere di massima sicurezza di Nusakambangan, l’“Alcatraz dell’oceano indiano” mentre i familiari dei condannati aspettavano di rivolgere l’ultimo saluto ai loro cari.
Gli otto uomini sono stati fucilati poco dopo la mezzanotte, quando in Italia erano le sette di sera.
Nella lista originale dei condannati figuravano dieci nomi: a salvare il decimo, il francese Serge Atlaoui, almeno per ora, è stato l’intervento personale del Presidente della Repubblica François Hollande, che ha minacciato ritorsioni diplomatiche contro l’Indonesia.
Ora Atlaoui attende il verdetto di un tribunale amministrativo di Giacarta sul suo ultimo ricorso, che dovrebbe arrivare entro un paio di settimane.
Inutili invece gli appelli rivolti dai governi per fermare le altre esecuzioni. La mobilitazione più ampia e sentita è stata probabilmente quella australiana, con centinaia di persone in piazza e una lettera aperta dell’attore premio Oscar Geoffrey Rush, che ha chiesto al primo ministro Tony Abbott di recarsi di persona in Indonesia per provare a convincere le autorità locali.
Alla notizia delle avvenute esecuzioni, il governo australiano ha richiamato in patria l’ambasciatore a Giacarta.
Andrew Chan, uno dei due australiani condannati, lunedì scorso ha ottenuto come ultimo desiderio di potersi sposare con la sua fidanzata.
Le esecuzioni di oggi sono solo l’ultimo atto della politica di tolleranza zero del presidente Joko Widodo contro il traffico di stupefacenti, che ha definito un’emergenza nazionale.
Appena eletto capo di Stato, l’anno scorso, Widodo ha dichiarato di voler respingere le domande di grazia presentate dai condannati per droga. Alle parole sono seguiti i fatti, e già lo scorso gennaio a Nusakambangan sono state giustiziate altre sei persone.
Questo giro di vite ha moltiplicato esponenzialmente il numero delle condanne a morte eseguite in Indonesia: in tutto il periodo tra il 1999, anno della caduta della dittatura di Suharto, e il 2014, lo Stato ha fucilato ventuno persone, cinque delle quali per reati legati alla droga.
Nel 2007, la Corte costituzionale indonesiana ha confermato la costituzionalità della pena di morte per trafficanti e spacciatori.
Il ricorso era stato presentato dai due australiani che saranno giustiziati oggi, con altri sette connazionali imputati nello stesso processo, puniti con sei ergastoli e una condanna a vent’anni di carcere.
Filippo M. Ragusa
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