Il Movimento 5 Stelle avrebbe legami diretti con la Russia di Vladimir Putin. Secondo un articolo di Paolo Mastrolilli, l’inviato a Washington de La Stampa, l’amministrazione USA ne avrebbe informato il governo italiano a Roma.
Citando “fonti governative americane”, Mastrolilli ricostruisce l’obiettivo del Cremlino: indebolire le istituzioni internazionali sue rivali, come UE e NATO, sostenendo le “forze politiche intenzionate a sfidare gli establishment nazionali”.
Si tratterebbe di una strategia in atto in tutta Europa, soprattutto nei Paesi – come Francia, Germania e Serbia – che hanno elezioni in programma nei prossimi mesi. “Questa offensiva era già presente negli Stati baltici”, si legge nell’articolo, che hanno fatto parte dell’URSS, e quindi sono “abituati a simili tattiche di propaganda e manipolazione”. L’Europa occidentale invece sarebbe “meno pronta a capirla e a difendersi”, o almeno così temono gli analisti di Washington, che hanno messo in guardia Roma e le altre cancellerie con “missioni discrete”.
Il “potenziale punto di contatto” di Mosca starebbe dunque nei rapporti con il M5S e in misura minore, perché ha meno elettori, con la Lega.
Per la verità, delle convergenze tra il Cremlino e il movimento di Beppe Grillo si è già occupato giorni fa il Guardian, con un articolo sull’“importante cambio di posizione” del M5S su Putin negli ultimi anni. “Non riusciamo a capire perché si siano messi dalla parte di Putin e non delle Pussy Riot”, ha detto al quotidiano inglese un diplomatico “occidentale” rimasto anonimo. Un’altra fonte imputa la conversione a un semplice riflesso della “sua filosofia generale anti-establishment”. Ma anche sul Guardian qualcuno avverte che il PD potrebbe “non essere del tutto in allerta per la potenziale minaccia di un’interferenza russa nelle elezioni italiane e non è così preoccupato dalla questione come dovrebbe”.
“La Russia non ha mai fatto nulla per rafforzare il M5S o stabilire con esso un rapporto speciale”, spiega comunque Igor Pellicciari, docente LUISS e corrispondente di Limes da Mosca. Semmai è vero l’inverso, “probabilmente in parte a causa dell’impatto economico che le sanzioni russe imposte dall’UE hanno avuto sull’economia italiana” continua Pellicciari.
Disparati i metodi con cui il Cremlino coltiverebbe questi rapporti. In Paesi più progrediti del nostro sulla via della comunicazione digitale, come la Francia e gli USA, il canale privilegiato è quello. Altrove si preferisce puntare su rapporti personali diretti. Su questo terreno è anche più difficile provare l’esistenza di eventuali sforamenti, oltre la cortesia istituzionale, nel campo dell’ingerenza indebita.
Alcuni rappresentanti di M5S e Lega non hanno fatto niente per nascondere i loro contatti con la Russia. Contatti che di per sé, naturalmente, non hanno niente di illecito. Come dimostra il caso di Manlio Di Stefano, che nei piani del Movimento, in caso di vittoria elettorale nel 2018, sarebbe destinato a fare il ministro degli Esteri. Di Stefano è un ammiratore di Putin, come testimonia il suo feed su Twitter, e l’anno scorso ha partecipato al congresso del suo partito, Russia Unita.
In America, conclude Mastrolilli, i movimenti dei russi sono tenuti d’occhio da prima delle presidenziali che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. A seguirli sono funzionari di carriera, senza tessere di partito e non soggetti allo spoils system, che quindi sono rimasti al loro posto anche durante il passaggio di consegne dai democratici ai repubblicani. Naturalmente, l’insediamento di Trump ha complicato le cose, perché il nuovo governo ha portato con sé nuove priorità sia politiche sia strettamente procedurali: ad esempio la nomina degli ambasciatori, loro sì di nomina politica. Ma nel caso dell’Italia – dove si andrà alle urne solo l’anno prossimo – c’è tutto il tempo di chiarire la questione con Washington. Come a fine aprile, quando il premier Paolo Gentiloni sarà ospite della Casa Bianca, o a maggio, in occasione del G7.
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