Per poter almeno provare a rispondere all’interrogativo che, soprattutto in questi giorni, sta occupando molto spazio sugli organi d’informazione (nella “rete”, più che altro) e sta preoccupando ( e molto) migliaia di cittadini/consumatori sino a sfociare in episodi di cronaca, a volte grotteschi ( basti pensare che negli ultimi tempi si è passati da manifestazioni di piazza a Cagliari, a veri e propri assalti alle sedi di Equitalia a Torino e Milano,
a minacce armate ancora in Sardegna, per finire con il surreale sequestro di un esattore ad opera di alcuni allevatori di bestiame di un’azienda agricola di Lonigo, provincia di Vicenza, inferociti per essersi visti recapitare una cartella esattoriale da 587 mila euro…), occorre capire bene di cosa e di chi si sta parlando.
Equitalia, dunque. Si tratta di una società per azioni, a totale capitale pubblico ( 51% in mano all’Agenzia delle entrate e 49% all’Inps), incaricata della riscossione nazionale di tributi e contributi. Dal 1 ottobre 2006, l’Agenzia delle entrate ha affidato il compito della riscossione, prima svolto in concessione a circa 40 tra istituti bancari e privati, proprio a Equitalia (il cui nome, tra ottobre 2006 e marzo 2007, era Riscossione SpA) il cui scopo è ( o dovrebbe essere) “quello di contribuire a realizzare una maggiore equità fiscale, dando impulso all’efficacia della riscossione attraverso la riduzione dei costi a carico dello Stato e la semplificazione del rapporto con il contribuente” ( come si legge nella presentazione del sito ufficiale).
L’attività di riscossione viene esercitata o a mezzo ruolo in via spontanea oppure coattiva. Ed è qui che sorgono i problemi che stanno ingenerando l’escalation di malcontento.
Equitalia, infatti, per effettuare il recupero forzoso del debito, può iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore, iscrivere fermo amministrativo dei beni mobili registrati (es. autovetture), procedere all’espropriazione forzata ( pignoramento) dei beni immobili, mobili e dei crediti presso terzi ( es. stipendi).
Qual’è stato il bilancio di quest’attività dal 2007 al 2010? Dati impietosi. Un milione seicentomila preavvisi di fermo e 577mila fermi effettuati; 450mila ipoteche iscritte dal 2007 ed ancora in vita; 135mila nuove ipoteche nel solo 2010; 11.189 pignoramenti immobiliari e ben tre milioni quattrocentomila solleciti inviati ai contribuenti in posizione di debito.
Ora, è ovvio che pagare i propri debiti con lo Stato debba essere un dovere di tutti ( e l’evasione è uno dei massimi responsabili del debito pubblico), ma sono proprio le modalità di riscossione a legittimare l’uso sempre più diffuso dell’espressione: “Si scrive Equitalia, si legge usura”. Si tratta dell’uso ( spesso abuso) di metodi vessatori. Non c’è proporzione tra la forza che l’esattore può esercitare e le difese cui possono ricorrere i contribuenti. Senza dimenticare la differenza di trattamento quando i ruoli si invertono ed è lo Stato ad essere debitore nei confronti del cittadino.
Esemplificando, e ad onta delle flebili repliche del direttore Attilio Befera, spesso le ipoteche vengono iscritte senza che il contribuente si sia visto notificare l’atto di diffida che le dovrebbe precedere, e anche quando il cittadino riesce a pagare il dovuto, si scontra con l’inefficienza delle procedure amministrative deputate alla cancellazione dei provvedimenti cautelari adottati. Anche in tema di pignoramenti le cose non migliorano. Anzi. La conseguenza è che il contribuente si viene a trovare con margini ristretti o addirittura inesistenti di difesa nelle sedi giudiziarie. E qui si innesca l’ulteriore patologia del “sistema”, poiché, per le ormai note disfunzioni della macchina giudiziaria, le udienze vengono concesse in tempi biblici. Trattasi, in quest’ultimo caso, ovviamente, di una patologia non direttamente imputabile ad Equitalia ma, in ogni caso, ad essa riconducibile, visto che non si avvertiva di certo il bisogno di ingolfare ulteriormente l’attività dei tribunali. Un ulteriore risvolto negativo della vicenda è il pregiudizio che, anche con una semplice iscrizione d’ipoteca non portata ad esecuzione, si crea in capo sia alla persona fisica che giuridica colpita dal provvedimento, la quale diventa un “cattivo cliente” per le banche con le conseguenti difficoltà ad accedere al credito. Fattore, quest’ultimo, non trascurabile anche in una prospettiva di più ampio respiro. Infatti, tali modalità-capestro di riscossione vanno a scoraggiare anche molti potenziali investitori stranieri, più propensi a portare capitali in Paesi con un fisco più “umano”. Quali i rimedi? In tema di ipoteche pare chiaro che dovrebbe trattarsi di un’extrema ratio da utilizzare solo per cifre consistenti. Cosa che spesso non accade. Un intervento nella direzione auspicata, però, c’è già stato e non di poco conto. I giudici della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 4077 del 22 febbraio 2010, hanno, infatti, stabilito che sono illegittime le ipoteche iscritte sui beni immobili, se il debito reclamato dovesse risultare inferiore agli 8.000 euro e non se ne sia dato avviso al contribuente. Restano impregiudicati, ovviamente, i tradizionali rimedi che il legislatore mette a disposizione, ossia la possibilità di inoltrare ricorso alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento ( ipoteca o fermo amministrativo che sia).
Il problema della lacunosa comunicazione si presenta anche nel caso di pignoramento dei conti e del blocco dei pagamenti da parte della PA. Nel primo caso, infatti, le somme vengono direttamente bloccate senza che il contribuente sappia alcunché. Si potrebbe ovviare rateizzando il debito ma, e qui gli effetti distorsivi del metodo si manifestano in tutta la loro gravità, la rateazione spesso non viene concessa sul presupposto ( falso) che il contribuente abbia la liquidità necessaria per saldare il debito. Tale liquidità, infatti, è congelata proprio a motivo del debito da estinguere. Simile è il caso dei pagamenti della PA che vengono bloccati senza preavviso. Al contribuente viene solo notificato un ordine di pagamento per pignoramento presso terzi. Peccato che per riscuotere le somme dovute, deve prima saldare il suo debito e, spesso e volentieri, sono proprio le somme che potrebbe impiegare per estinguere il debito ad essere bloccate… Rimedi, in questo caso, al momento sono costituiti solo dalla possibilità di presentare opposizione davanti al giudice dell’esecuzione entro 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale.
La burocrazia, più della lacunosa comunicazione, è, invece, il problema principale del fermo amministrativo. La sospensiva, infatti, non riesce quasi mai ad arrivare in tempo utile con la conseguenza che vengono fermati anche veicoli di persone che hanno già estinto il debito. E anche se il cittadino dovesse ricorrere alla rateizzazione del debito, tale accordo viene registrato con colpevole ritardo con la conseguenza che continuerà a circolare senza copertura assicurativa. A sua insaputa. Salvo incidenti.
Anche per il caso del fermo amministrativo, l’unico rimedio esperibile per il cittadino è dato dalla possibilità di ricorrere alle Commissioni tributarie provinciali, con tutti i problemi derivanti dalla lentezza nel fissare una data d’udienza. E, medio tempore, Equitalia procede con gli atti esecutivi.
Prospettive future? Occorrerebbe una moratoria fiscale di almeno un anno, la riduzione delle sanzioni contributive ( che non deve sfociare, però, nell’italianissimo eccesso del condono…), la modifica dei criteri di applicazione degli interessi moratori e degli aggi, una limitazione ai pignoramenti e l’estensione del periodo di rateizzazione. Interventi di matrice normativa, dunque.
In questa direzione, Equitalia ha mostrato una minima apertura proprio nei giorni scorsi, avendo annunciato che la rateizzazione potrà essere allungata fino a 6 anni. Ma solo se la situazione economica della famiglia del contribuente peggiora. Non basta. L’Adiconsum, infatti, preme per una rateizzazione da concedersi dietro semplice richiesta. A prescindere da un intervenuto peggioramento della condizione economica.
Anche il mondo della politica sta cominciando a svegliarsi dal torpore, almeno a parole. Quelle del ministro Tremonti che, per la prima volta, ha parlato apertamente di “ganasce fiscali”, come degli elevati interessi sulle sanzioni che “ricordano da vicino l’anatocismo” all’interno di un sistema che “non porta rigore ma solo discredito”.
Di ben altro tenore, invece, quanto affermato, in sede di audizione alla Camera, dal direttore Befera, orgoglioso dei risultati conseguiti nel 2010 da Equitalia grazie al metodo della “non comunicazione”.
Qualcuno vuole svegliarlo?
Daniele Puppo
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