Recep Tayyip Erdogan perde la scommessa delle elezioni parlamentari in Turchia. Il partito “Giustizia e sviluppo” (AKP) ha ottenuto 258 seggi su 550, perdendo per la prima volta la maggioranza assoluta.
Per restare al governo, il partito di Erdogan dovrà accettare di far parte di una coalizione; l’alternativa è un governo di minoranza che accompagni il paese a elezioni anticipate.
Tre liste di opposizione hanno superato la soglia di sbarramento, posta al 10%: i socialdemocratici del CHP (“Partito repubblicano popolare”), i nazionalisti dell’MHP (“Partito del movimento nazionalista”) e il nuovo partito antinazionalista e filo-curdo di sinistra, l’HDP (“Partito democratico popolare”).
Le elezioni si sono svolte in un clima avvelenato dalle polemiche contro il presidente, accusato di aver abusato della sua posizione istituzionale per fare campagna elettorale a favore del suo partito, e da episodi violenti.
La partecipazione popolare comunque è stata altissima: ha partecipato al voto l’86% degli aventi diritto.
A scrutini appena conclusi, l’AKP ha fatto registrare la battuta d’arresto più importante, passando da 327 a 257 seggi. Al CHP ne toccano 133, due in meno rispetto alle elezioni del 2011. Guadagna terreno invece l’MHP, che passa da 53 a 82 rappresentanti, mentre l’HDP, al suo primo appuntamento elettorale, ne ottiene 78.
Fallito clamorosamente, dunque, l’obiettivo al quale mirava la leadership di Giustizia e sviluppo: non solo arrivare alla maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale, missione compiuta senza problemi nelle tre elezioni precedenti, ma conquistare la maggioranza dei due terzi, pari a 367 deputati, per poter varare le sospirate riforme costituzionali – aumentare i poteri del presidente della repubblica a scapito del primo ministro – senza dover passare per un referendum di conferma.
Il voto popolare, come si è visto, non ha seguito le indicazioni del partito al potere; anzi, per la prima volta da quando è arrivato al governo, nel 2002, il partito demoislamico non è arrivato nemmeno ai 330 rappresentanti considerati necessari per governare.
L’AKP ha perso consensi soprattutto in Kurdistan, dove hanno pesato l’afflusso di profughi dalla Siria e le accuse rivolte al partito di sostenere gruppi armati jihadisti.
Ad attirare il voto degli scontenti, degli indecisi e dei giovani che votavano ieri per la prima volta, secondo gli analisti, sarebbe stato soprattutto Selahattin Demirtas, il leader dell’HDP, soprannominato “l’Obama curdo”.
Ora si apre una fase delicatissima per il presidente Erdogan, che dovrà assegnare l’incarico di formare l’esecutivo.
In teoria i partiti d’opposizione, se dovessero allearsi, avrebbero i numeri per governare. Un’eventualità del genere, tuttavia, è estremamente improbabile: sarà difficilissimo conciliare le posizioni nazionaliste e conservatrici dell’MHP con quelle dei due partiti di centrosinistra, specialmente sulle questioni legate al processo di pace in Kurdistan.
È più probabile che Erdogan affidi un mandato esplorativo a un membro del suo partito, con l’incarico di cercare un’alleanza con una delle liste minori. I maggiori indiziati per questo ruolo sono i nazionalisti, anche se alla vigilia del voto tutti i movimenti di opposizione hanno escluso la possibilità di coalizioni con il partito al governo.
Il presidente Erdogan ha commentato la sconfitta in un comunicato: “La decisione della nostra nazione è al di sopra di tutto. Credo che i risultati non diano la possibilità di consegnare la guida del paese a un singolo partito”.
La popolazione del Kurdistan ha festeggiato il risultato delle elezioni come un trionfo, e nelle piazze del capoluogo Diyarbakir si è cantato e ballato per tutta la notte.
Trionfale anche il commento del segretario del CHP Kemal Kilicdaroglu: “La democrazia ha vinto, la Turchia ha vinto”.
I numeri gli danno ragione solo in parte. I numeri delle elezioni hanno emesso un solo verdetto chiaro: nel referendum sul presidente Erdogan ha vinto il no. Se questo comporti una sconfitta dell’AKP, e chi sia in ultima analisi il vincitore delle elezioni, è però ancora tutt’altro che ben definito.
Il vicepremier Bulent Arinc ha lanciato una sfida alle opposizioni: “Se ci deve essere una coalizione, il CHP, l’MHP e l’HDP dovrebbero provare a formarne una. Lasciamoli provare prima, se dovessero fallire l’AKP è pronto a fare la sua parte”.
A dare la misura dell’incertezza e dell’instabilità di questi momenti è la reazione dei mercati finanziari. In apertura di seduta, il Bist 100, l’indice principale della Borsa di Istanbul, perdeva più di otto punti percentuali, per poi recuperare solo in parte le perdite. Crolla anche il valore della lira turca, al minimo storico di 2,81 nel cambio con il dollaro.
Filippo M. Ragusa
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