Giunti all’immediata vigilia di Italia-Spagna, penultimo ottavo di finale in programma e autentico crocevia dell’intera competizione (non solo per gli azzurri), si possono già tracciare i primi bilanci di un Euro2016 ricco, più che di bel gioco, di spunti.
Lo ricorderemo certamente per focolai di violenza hooligan accesi sugli spalti francesi e nei dintorni mai visti prima in un torneo di tale importanza, figli di un momento storico dai risvolti socio-politici le cui conseguenze (come per la Brexit) sono ancora lontane dall’aver dispiegato tutti i propri effetti e connotato da rabbiosi rigurgiti nazionalistici , ma anche per un equilibrio, sui rettangoli verdi, con pochi riscontri e senza che sia sia ancora messa in luce una o più squadre realmente dominanti o che possano ambire al ruolo di grande favorita. Un livellamento che ha prodotto grande incertezza (e poco spettacolo condito da pochissimi gol) nei risultati della prima fase (e anche in almeno quattro dei sei ottavi già andati in archivio) ma che, all’atto pratico, si è tradotto nel mancato primato, nei rispettivi gironi, di Inghilterra, Spagna, Portogallo e Belgio (sulla carta, più accreditato degli azzurri) con il conseguente rimescolamento degli accoppiamenti nella fase ad eliminazione diretta. Ne sono scaturite due metà di tabellone chiaramente sbilanciate con quella di destra onusta di lustrini e blasone (ben 11 titoli mondiali in campo e 9 europei più la componente slovacca dell’ex Cecoslovacchia campione nel 1976) a fronte della casella desolatamente vuota a livello di precedenti successi sia iridati che continentali nella parte sinistra.
Però, alla fine della fiera, le big annunciate sono ancora lì. Tutte. Compreso il traballante Portogallo, ripescato in extremis tra le quattro migliori terze senza neanche una vittoria all’attivo (a proposito: stupisce che molti osservatori abbiano visto nella Croazia l’indiscussa favorita al posto in finale nella parte sinistra del tabellone perchè, fermo restando il grande tasso tecnico individuale della rappresentativa slava, non si poteva pensare che il vero Portogallo fosse quello sin lì visto e CR7 aveva già lanciato segnali accecanti di risveglio nel rocambolesco 3-3 con l’Ungheria, peraltro, ad avviso di chi scrive, la sorpresa più clamorosa della prima fase, tacendo della scarsa abitudine dei croati a rivestire gli scomodi panni dei favoriti anzichè quelli, ben più leggeri, delle mine vaganti) o il Belgio, già indicato tra le outsiders di lusso nel recente mondiale brasiliano ma pesantemente ridimensionato da una pragmatica (ma a tratti persino bella) Italia nel match d’abbrivio. In fin dei conti, la sorpresa più clamorosa rimane la mancata qualificazione alla fase finale dell’Olanda, fresca terza classificata a Brasile2014. Per il resto, al netto della bella realtà (e non, si badi bene, sorpresa, visto il sontuoso girone eliminatorio che l’ha condotta Oltralpe, la qualificazione a Brasile2014 lisciata d’un soffio e il gioco offerto) Islanda, delle sorprese Galles e Irlanda del Nord e della sorpresissima Ungheria ( se ne erano perse le tracce da Messico1986), la conferma che la tradizione nel calcio che conta ha ancora un peso.
Ha stentato, e non poco, in ogni partita, la Francia padrona di casa (e la mancata convocazione per i noti scandali di Benzema ha inciso solo in minima parte, considerando le prestazioni di Griezmann e Payet), l’Inghilterra ha mostrato un buon impianto di gioco complessivo e discreta personalità ma fatica oltremodo a tradurre il possesso palla in tiri in porta, l’Italia non è non sarà nella sua miglior versione (le assenze forzate di Verratti, Marchisio e, in minor misura, di Montolivo e la rinuncia a Pirlo hanno impoverito non poco il centrocampo azzurro) ma rimane, per spirito combattivo e agonismo, un “animale da competizione” che nessuno vorrebbe mai affrontare, la Spagna “tikitakeggia” con la consueta disinvoltura ma senza l’efficacia del quadriennio 2008-2012 e la stessa Germania, campione del mondo in carica, reduce da un biennio non esaltante, ha stentato parecchio nelle tre gare del girone, salvo poi aumentare vorticosamente i giri quando si è iniziato a fare sul serio. Il 3-0 rifilato ad Hamsik e compagni nell’ottavo di finale è un preciso avviso ai naviganti. La “nationalmannschaft” sta trovando, se non l’ha già fatto, la miglior condizione. E anche il Belgio, dopo il bagno d’umiltà imposto dai guerrieri di Conte all’esordio e chiamato a cercare un’apprezzabile chimica di squadra, sta vedendo le sue tante stelle (in termini quantitativi, dal portiere sino all’ultimo convocato del numeroso parco attaccanti, la nazionale che ne annovera di più) carburare. Potrebbe essere l’atto conclusivo del 10 luglio il remake di Germania-Belgio, già finale di Euro1980, disputato dalle nostre parti? Più di un’ipotesi. Anche se in Germania toccano ferro solo all’idea di essere nel medesimo quarto dell’Italia (pur se, per legge dei grandi numeri, prima o poi…), la quale, però, dovrà prima fare i conti con la Spagna.
Italia-Spagna, per l’appunto. Gli iberici giocano meglio, hanno una tecnica individuale superiore, hanno maggior abitudine alle vittorie internazionali, sono i campioni in carica, hanno avviato il proprio ciclo aureo proprio contro di noi e, da vittime designate e preferite, si sono trasformati nella nostra bestia nera recente. Ma, tra Euro2008 e la finale di Euro2012 per limitare l’indagine ai grandi tornei, è anche vero che ci hanno sconfitto solo una volta prima dei rigori. Un bilancio, il nostro, niente affatto disprezzabile contro uno squadrone che, per quattro anni, ha dominato il calcio mondiale in lungo e in largo. Segno che gli diamo, comunque, fastidio. Ora, gli antidoti possibili per disinnescare il tiki taka sono due…e mezzo. Una via è quella della grande densità a centrocampo con maglie strettissime dietro ad ostruire ogni linea di passaggio. Quello che fece il Chelsea di Di Matteo (un italiano, dunque) quando estromise il Barcellona nella semifinale di Champions 2012 (prima di sorprendere ai rigori il Bayern nel fortino dell’Allianz Arena). Altra opzione è quella dell’aggressione altissima già sui primi portatori di palla di Del Bosque, mantenendo ritmi elevatissimi per tutti e 90 i minuti. Ciò che è riuscito a fare in più di un’occasione il Real di Mourinho contro il Barça e proprio la nostra nazionale, sotto la guida di Prandelli, nella semifinale della Confederations Cup 2013 (poi, vi sarebbe riuscito ancor meglio il Brasile in finale), la miglior gara dell’Italia dai Mondiali di …Spagna 1982. Il mezzo lo riserviamo ad un ibrido tra le due formule, che è il modello di calcio “diretto” basato sulle seconde palle proposto da Simeone con il suo Atlètico di bucanieri che ha affondato il galeone blaugrana due volte su due nell’arco delle ultime tre Champions. L’Italia di Conte possiede almeno uno di questi antidoti? Difficile riproporre la via mourinhana dell’aggressione altissima (stanchezza, caldo e anche un oggettivo gap tecnico con il Real suggerirebbero di no), ma le altre due non sembrano inattuabili.
La Spagna è favorita, ma se è vero che la nostra non è la miglior versione (qualitativamente parlando) della nazionale italiana che si ricordi, anzi, è anche vero che neppure la “roja” è più l'”invencible armada” del quadriennio d’oro. E, se la vicenda dovesse andare per le lunghe, abbiamo una maggior capacità di soffrire rispetto a loro. Senza contare che l’attuale Barça, depositario del tiki taka, la differenza la fa soprattutto con i tre fenomeni davanti: un argentino, un uruguaiano e un brasiliano. Siamo sfavoriti, sì. Ma non troppo.
P.S.: occhio a Inghilterra-Islanda di stasera. Anche la perfida Albione potrebbe incagliarsi tra i ghiacci frapposti da una squadra ottimamente organizzata.
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