Come noto, in Italia la legge impone il divieto di diffusione dei sondaggi nelle due settimane che precedono il voto: dallo scorso sabato, quindi, è vietato parlare di sondaggi politici anche se erano stati realizzati e diffusi prima che scattasse il divieto.
Tale divieto, però, vale solo per le rilevazioni che riguardano l’Italia. Le elezioni del 26 maggio riguarderanno tutti i 28 Paesi membri dell’Unione Europea, e in quasi tutti questi Paesi non esiste alcun divieto di diffusione dei dati di sondaggio. Per questo può essere interessante vedere cosa sta accadendo almeno nei maggiori Paesi europei, per darci un’idea di dove sta andando il vento in Europa – e di cosa possiamo realisticamente aspettarci per la nuova legislatura europea.
Da soli, i 5 stati più popolosi della Ue (oltre all’Italia: Germania, Francia, Regno Unito e Spagna) eleggeranno infatti circa la metà dei nuovi deputati europei (370 su 751). Ecco perché gli occhi degli osservatori sono puntati principalmente su ciò che avverrà in questi paesi, che sarà determinante per il risultato finale.
Cominciamo dalla Germania, che eleggerà ben 96 europarlamentari. Come ha raccontato Luigi Daniele su YouTrend la CDU che fu di Angela Merkel (e che oggi ha una nuova leader, Annagret Kramp-Karrenbauer) secondo i sondaggi è sempre il primo partito, ma al di sotto del 30%: nonostante questo dato, decisamente deludente per gli standard del partito, la CDU potrebbe risultare comunque il primo partito europeo (cioè quello con più rappresentanti all’Europarlamento) con una delegazione di 30 eletti.
La sorpresa delle elezioni dovrebbe essere rappresentata dai Verdi (Grünen) che puntano al 20% dei voti e a relegare i social-democratici della SPD al terzo posto. Niente boom per i populisti di Alternative für Deutschland (AfD) che dovrebbero comunque ottenere più del 10% dei voti.
A differenza di quando si vota per il Bundestag nazionale, alle Europee in Germania non è prevista alcuna soglia di sbarramento: sarà quindi un’ottima occasione per i partiti minori di eleggere qualche loro rappresentante. A coglierla, eleggendo 1-2 eurodeputati ciascuno, potremmo trovare i Freie Wähler (“elettori liberi”) che già fecero bene alle regionali in Baviera, gli animalisti, il partito dei Pirati e persino il NPD (partitino di estrema destra con simpatie neo-naziste).
La Francia, il secondo Paese UE per popolazione, eleggerà un eurodeputato in più dell’Italia (74). Qui lo scenario è molto più incerto rispetto alla Germania: negli ultimi mesi, come si legge nello scenario tracciato da Alessandro Latterini su YouTrend la Francia ha visto esplodere le proteste dei gilet gialli e il Presidente Macron è dovuto correre ai ripari organizzando un “Grande Dibattito Nazionale” per cercare di riguadagnare i consensi. Ma nei sondaggi il Rassemblement National (ex Front) di Marine Le Pen sembra essere in grado di contendere la palma di primo partito a La Republique En Marche, il partito presidenziale: entrambi i partiti sono attualmente intorno al 22%, mentre più staccato è il centrodestra “tradizionale” dei Républicains (terzo con circa il 13%) e il Partito Socialista rischia seriamente di non raggiungere il 5% (soglia di sbarramento in vigore in Francia per le Europee).
Anche in Francia gli ecologisti sono forti: i Verdi di EELVpotrebbero raggiungere l’8% dei voti e conquistare 8 seggi. Ma a sinistra in questo momento è forte anche La France Insoumise, movimento che sfiorò il ballottaggio alle Presidenziali 2017 con Jean-Luc Mélenchon e che oggi secondo i sondaggi sarebbe la quarta forza con poco meno del 10% dei consensi. Il sistema elettorale proporzionale in vigore in Francia (come in tutti gli altri paesi UE) per le Europee non produrrà grandi squilibri in termini di seggi tra vincitori e sconfitti: ma si guarderà senza dubbio alla sfida relativa alla palma di primo partito, e Marine Le Pen sogna la rivincita su Macron che due anni fa le arrivò davanti non solo al ballottaggio ma anche al primo turno.
Il caso del Regno Unito è particolare: dopo un periodo di incertezza che pareva infinito, alla fine il Paese non solo è rimasto nella UE (la Brexit è stata ulteriormente rinviata) ma prenderà pure parte alle elezioni per il Parlamento dell’Unione. Il risultato delle Europee nel Paese di Sua Maestà sarà importante non solo per gli equilibri a Bruxelles (saranno eletti 73 eurodeputati, come in Italia) ma anche per quelli interni alla politica britannica.
Negli ultimi mesi – o meglio, settimane – è tornato incredibilmente protagonista Nigel Farage, che già nel 2014 vinse le Europee con il suo UKIP (primo partito con oltre il 27%) e che stavolta si presenta con un partito nuovo, appena fondato: il Brexit Party, nato espressamente per dare voce ai “brexiters” frustrati dall’inconcludenza del governo May, che dopo quasi tre anni dal referendum del 2016 non è riuscito a portare il Paese fuori dalla UE.
Ancor più incredibilmente, secondo i sondaggi il Brexit Party è già balzato in testa alle intenzioni di voto: in media le ultime rilevazioni li danno quasi al 30%, davanti ai Laburisti di Jeremy Corbyn (23%) mentre i Conservatori di Theresa Maysarebbero sprofondati addirittura al 12%, dietro ai Liberal Democratici.
Mentre gli eurodeputati del Brexit Party (e anche quelli dei Conservatori) andranno certamente tra i gruppi euro-scettici, gli eletti di Labour e Lib-Dem andranno a rafforzare la maggioranza uscente, nei gruppi dei socialdemocratici e dell’ALDE, mentre altri partiti che alle elezioni nazionali non riscuotono grandi successi come i Verdi sembrano in grado di poter ottenere un discreto risultato (7-8%) ed eleggere dei rappresentanti in grado – eventualmente – di “puntellare” una coalizione europeista: anche nel Regno Unito infatti (come in Germania) non è prevista una soglia di sbarramento per le Europee.
Chiudiamo con la Spagna, dove da poco si è andati al voto per le elezioni legislative che hanno visto la vittoria dei socialisti di Pedro Sanchez. In questo caso i (pochi) sondaggi realizzati dopo il voto nazionale e in vista delle Europee non sembrano mostrare grosse differenze: i risultati del voto in Spagna dovrebbero perciò andare a rafforzare le due principali famiglie politiche europee, quelle dei popolari e dei socialdemocratici. Alle spalle dei socialisti del PSOE infatti dovrebbe confermarsi al secondo posto il Partido Popular: se così non fosse, in seconda posizione potremmo trovareCiudadanos, il partito di Albert Rivera che però è anch’esso iscritto ad un gruppo europeista (ossia i liberali dell’ALDE).
Con i suoi 54 seggi, la Spagna non ha il “peso” dei Paesi europei più grossi, ma il suo scenario politico è simile a quello che si riscontra in molti altri stati di minori dimensioni, che – nonostante eleggano un numero inferiore di eurodeputati – contribuiranno in misura decisiva a delineare gli assetti del Parlamento Europeo che verrà.
(dal sito agi.it)
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