Lo Stato non ha difeso Salvatore Failla: “Lo hanno ucciso due volte”. L’accusa arriva da Rosalba Castro, la vedova del tecnico ucciso in Libia la settimana scorsa insieme al collega Fausto Piano.
La donna ha indetto una conferenza stampa insieme alle figlie nello studio del suo legale Francesco Caroleo Grimaldi.
È da lunedì che siamo qua, ci siamo portati solo un cambio, perché dovevano arrivare quel giorno.
Le salme dei due italiani sono arrivate in Italia solo stanotte, dopo più di una settimana dalla loro morte.
La donna ha raccontato che lo scorso 13 ottobre, circa due mesi dopo il rapimento, i sequestratori – in un italiano approssimativo – le telefonarono per farle sentire la voce del marito, probabilmente registrata.
Ciao sono Salvo, i miei compagni li hanno portati via, io sono rimasto da solo e ho bisogno di cure mediche, ho bisogno di aiuto.
“Parla con giornali e tv”, continuava l’appello di Failla: “Vedi di muovere tutto quello che puoi muovere”. Ma gli investigatori italiani erano di un altro avviso. “Dopo la telefonata – ricorda oggi la donna – mi è stato detto da chi stava lavorando al caso di non rispondere più al telefono, di stare zitti, di non parlare con nessuno dei rapitori”.
Mi sono rivolta al ministero degli Esteri e ci dicevano che a mio marito era stato imposto di dire così. Ma secondo me Salvo mi chiedeva davvero aiuto, perché la voce era sofferente, sentivo che soffriva.
La figlia Erica rincara la dose: “Non ci hanno aiutato a riportarlo a casa. Ci hanno detto di stare zitti, di non fare scalpore”. E ancora: “Dov’era lo Stato? Abbiamo fatto quello che ci hanno detto, ma non è servito a nulla”.
I rapitori non parlavano italiano, ha precisato oggi Filippo Calcagno, uno dei due ostaggi italiani sopravvissuti al sequestro insieme all’altro collega Gino Pollicardo. Tutte le comunicazioni avvenivano in francese, lingua che Failla conosceva. Ma “siccome quelle registrazioni dovevano essere fatte in italiano”, ricorda l’uomo, “ci dissero di non dire altre cose che non fossero quello che veniva suggerito”, perché “dovevano farlo sentire a qualcuno”.
Ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che ha riferito in Senato, ha definito “penose” le modalità del rientro. L’Italia voleva riavere i corpi integri per svolgere le autopsie a Roma. Ma i libici, alla ricerca di quel riconoscimento internazionale che finora gli altri Stati accordano solo al governo rivale di Tobruk, hanno preteso di condurre l’esame approfondito ieri a Tripoli. Era presente un medico legale italiano inviato dalla Farnesina.
Secondo quello che ha raccontato Sidik al-Sour, il direttore dell’ufficio Inchieste della Procura generale della capitale libica, si è trattato di “un’autopsia completa”. I medici legali cercavano di estrarre i proiettili per determinare “il tipo d’arma che ha causato il decesso” dei due tecnici. Un procedimento criticato con forza dall’avvocato Caroleo, perché “non ci dà nessuna garanzia”:
Anche solo lavare un corpo in quelle condizioni comporta l’impossibilità di risalire alla verità.
Il lavaggio, infatti, “cancella l’eventuale presenza di polveri da sparo dai fori d’entrata dei proiettili”.
E sulla ricostruzione di quella verità, le ipotesi di Roma e Tripoli sono lontanissime. Ieri il ministro degli Esteri del governo degli islamisti libici ha detto che la morte dei due italiani sarebbe stata un’esecuzione: i loro sequestratori li avrebbero uccisi con un colpo alla testa. Mentre Gentiloni, nel suo intervento in Senato, ha sostenuto che siano morti in uno scontro a fuoco tra i rapitori e le milizie di Sabrata. Le prime indiscrezioni sull’autopsia fatta in Libia, raccolte da la Repubblica, sembrano accreditare la tesi italiana: i corpi avrebbero segni di raffiche di mitra al torace e alle gambe
Le trattative fra Roma e Tripoli sono state faticose, a tratti tese. I rappresentanti italiani in Libia sarebbero stati costretti ad accettare che le autopsie si facessero in Libia. “Gli hanno puntato un’arma alla testa”, sostiene la figlia di Failla, che dice di averlo saputo dalla famiglia Piano.
A bordo di un C-130 dell’Aeronautica militare, i corpi sono finalmente arrivati all’aeroporto di Ciampino a mezzanotte e quaranta minuti. I riti funebri sono stati compiuti direttamente sulla pista e sono durati circa mezz’ora, in un’atmosfera dolorosa ma composta e in un silenzio assoluto. Più tardi, i corpi sono stati comunque sottoposti ad accertamenti nell’Istituto di medicina legale del policlinico Gemelli.
“Le nostre perplessità sull’autopsia eseguita in Libia si sono rivelate fondate”, ha detto l’avvocato Caroleo quando è stato informato dell’esito degli esami svolti a Roma. “Il prelievo di parte dei tessuti corporei ha reso impossibile l’identificazione dell’arma usata, le distanze e le traiettorie. Non è stata un’autopsia, è stata una macelleria”. Secondo il legale, in Libia si è deciso di “eliminare l’unica prova oggettiva per ricostruire la dinamica dei fatti”. Ma ha riconosciuto l’impegno dei rappresentanti italiani, che “si sono battuti per evitare questo scempio”.
Filippo M. Ragusa
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