Una domenica di festa su entrambe le sponde del Tevere
Una domenica da ricordare e da festeggiare su entrambe le sponde del Tevere: la Roma, corsara a Firenze contro la ormai ex capolista, si guadagna il primato in solitaria (evento che non accadeva dal 10 novembre 2013, prima stagione dell’era Garcia) mentre la Lazio, lentamente (ma neanche troppo) recuperatasi su livelli non distanti da quelli toccati nella scorsa primavera, prima combatte una dura battaglia e poi deflagra nel finale contro un sempre insidioso Torino e si issa al secondo posto, sia pur in coabitazione con illustri compagni di viaggio: Fiorentina, Inter e un Napoli giunto alla sua sesta vittoria di fila tra campionato ed Europa League e con un Higuaìn sempre più mattatore (a quota 7, è in testa alla classifica dei bomber insieme al doriano Eder ma senza l’ausilio dei penalties).
Una domenica da incorniciare per il calcio giocato sotto il cupolone: anche lo scorso anno le due compagini erano state protagoniste assolute chiudendo il campionato in seconda e terza posizione, ma il primato della Juve era incontrastato e sembrava incontrastabile per chissà quanto tempo ancora e, con un moloch così, sogni di gloria non erano consentiti a nessuno. Neppure nella Capitale. Ora, senza una forza egemone, le due squadre capitoline possono puntare davvero in alto, sia pure con obiettivi un pò differenti: la Lazio punta a replicare la splendida ultima stagione (che poi questo possa tradursi in un piazzamento altrettanto illustre è tutto da verificare anche perchè si era partiti a fari spenti, non c’erano impegni europei e il Napoli era molto meno equilibrato di oggi ), la Roma, invece, pur in assenza dei roboanti (e anche un pò arroganti ) proclami di Garcia, intende sostituirsi proprio alla Juve nel ruolo di squadra egemone. Non solo per questo campionato. I limiti di questo “pensiero stupendo” sono noti e già evidenziati da queste colonne (come altrove, ci mancherebbe ), ma il potenziale c’è tutto e sembra molto prossimo a divenire atto.
La prova di Firenze, effettivamente, non è stata di quelle da spellarsi le mani dagli applausi, ma la Roma ha vinto sfoggiando un cinismo proprio dei grandi, capitalizzando al meglio le prime due occasioni da rete capitate (e non è che ne abbia avute poi molte altre, al netto di un salvataggio sulla linea di Bernardeschi su botta a colpo sicuro di Pjanic) e concedendo, si badi bene, deliberatamente, campo alla Fiorentina incapace, però, di andare oltre a delle ottuse capocciate contro il muro romanista. Sì, muro, non è un refuso. Perchè la difesa giallorossa ha retto egregiamente all’assedio durato 84 minuti più recupero della Viola, concedendole solo delle velleitarie conclusioni da fuori (al netto, anche qui, di un paio di occasioni sprecate sotto misura da Kalinic e Bernardeschi e della rete di Babacar, arrivata però sui titoli di coda) e dimostrando che, forse, questa difesa non sarà un granchè ma, se sollecitata in una guerra di trincea, sa farsi valere e attivare un’efficace contraerea. La partita si è messa subito sui binari più propizi ma è stata brava la Roma a cercare e a trovare la rete su cui costruire il “tesoretto”. Così come bravissimo è stato Salah, l’ex accusato di alto tradimento da un pubblico gigliato inferocito, a trovare il colpo da biliardo per l’1-0. Meno, poi, a controllare i nervi nel finale, rimediando uno sciocco doppio giallo. Devastante, poi, Gervinho quando innescato a tutta velocità e, per una volta, lucido anche arrivato a tu per tu con Tatarusanu. Indubbiamente, ci ha messo molto del suo anche Paulo Sousa: già dalla lettura delle formazioni si poteva intuire che finale avrebbe riservato il copione. Giocarsi il primato (ed una ghiotta occasione di staccare ulteriormente la concorrenza) in casa con una sola punta per un 3-4-2-1 con il povero Kalinic dato in pasto, da solo, alla retroguardia ospite. Tardivi gli inserimenti di Rossi e, soprattutto, di Babacar, muscoli e presenza in area che dovevano trovare impiego dall’inizio e, comunque, subito dopo il vantaggio romanista che aveva, inevitabilmente, mutato lo spartito iniziale. Il tecnico portoghese lo ha spedito in campo al 36′ della ripresa… Sufficienti a trovare una rete e a sfiorane subito prima un’altra. Le orecchie di Sousa staranno fischiando.
Molto bene la Lazio, ironia della sorte scesa in campo contemporaneamente ai cugini negli unici due incontri programmati alle 18, forte di un fattore campo che, pur essendo tale solo su carta (anche ieri meno di 8000 spettatori paganti, oltre, ovviamente, agli abbonati ma l’assenza della Nord in sciopero si fa sentire), quantomeno funziona da infallibile talismano. Con il 3-0 al Torino, i biancocelesti sono arrivati a quota 8 vittorie su 8 partite disputate tra campionato, preliminare di Champions con il Bayer ed Europa League. Non inganni il punteggio, però perchè si è trattato di una partita di grande intensità e molto equilibrata fino al raddoppio di Felipe Anderson. Cioè fino a venti minuti dal termine. E non perchè la Lazio non si sia espressa al suo meglio, anzi. Ma il Toro di Ventura si è dimostrato la squadra più tosta (assieme ai francesi del St. Etienne) scesa in campo all’Olimpico laziale. Un osso veramente duro anche se Marchetti ha dovuto sfoggiare tutta la propria bravura solo in un’unica occasione (su sventola da fuori di Bruno Peres, un’iradiddio che Lulic è stato bravissimo a contenere ma, soprattutto, ad aggredire rubandogli l’iniziativa). Ottima la prestazione di tutto il collettivo biancoceleste ma diversi uomini meritano la citazione: Basta è stato fondamentale nel garantire palloni interessanti per gli avanti (una situazione di gioco, quella dei cross dalle fasce, da tempo atavico tallone d’Achille dell’Aquila) e, non a caso, da suoi traversoni sono arrivati prima la rete annullata (giustamente, l’off side c’era) a Candreva e poi a Klose, a sua volta autore di un assist volante di testa per l’accorrente Lulic (una dinamica, per certi versi, simile a quella che portò al momentaneo pari di Djordjevic nell’ultimo derby), bravo ad insaccare, quanto non impeccabile nel concludere in porta una straordinaria percussione individuale nella ripresa. Ma è anche da dire che, avesse segnato, sarebbe venuto giù lo stadio. Da autentici intenditori, poi, la prova di Kaiser Klose. Dell’assist tanto semplice quanto geniale che ha messo controtempo l’intera difesa granata abbiamo detto, ma non meno complicato, quanto essenziale nel gesto, il colpo d’esterno con cui ha provvidenzialmente allungato la traiettoria per la volata di Felipe Anderson chiusa tra gli abbracci dei compagni per il 2-0 rassicurante. Il centrocampo, in generale, ha ritrovato la capacità di produrre quelle verticalizzazioni e quelle variazioni di ritmo fondamentali soprattutto contro una squadra, come quella di Ventura, predisposta più alla lotta statica che al dinamismo (principalmente dietro). Praticamente, la descrizione plastica di quello che è lo stile di gioco di Lucas Biglia, fresco di rientro. Fondamentale. Accanto a lui, persino Onazi è parso un giocatore ordinato e dai gesti tecnici puliti. In misura minore, ciò che è avvenuto anche qualche metro più indietro dove un Gentiletti finalmente all’altezza della sua fama è riuscito, in parte almeno, a tamponare l’irruenza scomposta del solito Mauricio che fatto correre un lungo brivido lungo la schiena all’atto di prendere l’ennesimo giallo, preludio a paventate sciagure ben peggiori. Per fortuna, l’argentino ha fatto buona guardia e anche un pò da buona balia per il brasiliano allontanando gufi e corvi. Milinkovic-Savic: è uno solo, ma ieri sembravano davvero due giocatori, entrambi tostissimi come fisico ma stavolta anche dinamici. Alcuni sprint lungo l’out a recuperare palloni ormai persi sono state da applausi. Da spellarsi le mani, poi, inutile negarlo, le due reti, così come anche il “sombrero” ai danni di Vives, di Felipe Anderson, alla sua prima doppietta stagionale e alla terza partita consecutiva con il nome in tabellino. Il folletto brasiliano stava tornando, lo avevamo sottolineato già in precedenza. Ha ancora qualche pausa di troppo, ma il livello della primavera scorsa non è più così distante. Non lo vedevamo così bene da Lazio-Empoli 4-0 del 12 aprile scorso. Considerati il valore dell’avversario (anche se dal rendimento veramente deficitario in trasferta) e le assenze di Cataldi, Keita, Parolo, Radu, Hoedt e, soprattutto, de Vrij (assieme a Biglia, il vero insostituibile della squadra e a Formello fanno le macumbe affinchè la terapia conservativa funzioni), una prestazione molto confortante con la nota particolarmente positiva del baricentro tenuto alto anche dopo il vantaggio, senza lasciare campo e pallone a chi doveva risalire la corrente. Manca qualche titolare di troppo e un pizzico di velocità: per il resto, ci siamo. La Lazio di Pioli è tornata. Già Bergamo, tradizionalmente campo ostico per i colori biancocelesti, ci potrà dire se anche il complesso-trasferta è alle spalle.
Peccato che, in un simile contesto e salvo improbabili ripensamenti, il prossimo derby dell’8 novembre si giocherà, per via della contestazione alla decisione del prefetto di “spezzettare” le Curve con i jerseys mobili, senza il cuore pulsante delle due tifoserie. Pur comprendendo le ragioni della protesta (i violenti si identificano, si allontanano dagli stadi e si puniscono, non gli si riduce lo spazio potenzialmente occupabile a scapito di abbonati che non c’entrano nulla), due squadre così avrebbero meritato ben altra cornice.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy