Ti intrigano così tanto che non puoi fare a meno di collegarti con un sito porno anche quando sei al lavoro? Se vuoi gustarti un filmino mentre addenti un panino e sorseggi della Coca Cola, liberissimo di farlo. La Cassazione praticamente dice che puoi coltivare la tua ‘passione’ anche in ufficio, purché non ne risenta la produzione. Meglio quindi, durante la pausa pranzo.
In realtà una sentenza del Palazzaccio romano di piazza Cavour, ha giudicato illegittimo il licenziamento di un operaio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese accusato di vedere filmini a luci rosse durante la pausa pranzo.
I fatti contestati risalgono al 2008. Secondo l’accusa dell’azienda, come riferisce la sentenza 20728 della sezione lavoro, “durante il turno di lavoro un manutentore all’unità di montaggio veniva notato dal personale addetto alla tutela del patrimonio aziendale in compagnia di alcuni colleghi di lavoro”. In seguito a una serie di controlli, riferisce sempre la sentenza, nell’armadietto dell’operaio era stato ritrovato un pc con tre dvd a carattere pornografico. Da qui la decisione dell’azienda di licenziare il dipendente che, in base alla contestazione, avrebbe leso il rapporto di fiducia con il datore di lavoro “svolgendo attività estranea alla prestazione lavorativa consistenti nella visione di filmati a carattere pornografico”.
Inizia quindi il braccio di ferro in Tribunale. Il licenziamento dell’operaio era stato convalidato dal Tribunale di Termini Imerese il 7 luglio 2010. In appello la Corte di Palermo (novembre 2011) aveva decretato l’illegittimità della perentoria risoluzione del rapporto di lavoro, ordinando alla Fiat Group Automobiles il rientro del dipendente con tanto di indennità pari alla retribuzione globale dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, oltre al versamento dei contributi previdenziali. La Fiat ha insistito in Cassazione rimarcando che il licenziamento era stato inflitto per giusta causa. Fra l’altro, a detta dell’azienda, “andava considerata la condotta tenuta dal lavoratore che, per prevenire le verifiche aziendali, controllava a mo’ di vedetta la presenza di personale nelle vicinanze del locale” utilizzato per la visione di film a luci rosse.
A spuntarla, alla fine, è stato il lavoratore. Per due motivi. Da un lato la Cassazione ha ritenuto gli elementi raccolti non sufficienti a provare che il comportamento contestato sia avvenuto nell’orario di lavoro.
Dall’altro ha ritenuto il ‘passatempo’ dell’operaio legittimo se avvenuto durante la pausa pranzo. La Cassazione fa notare infatti che “le asserite ammissioni del dipendente restavano circoscritte al fatto di avere visto lo scorcio di un filmato” a luci rosse “durante la pausa mensa. Circostanza – è annotato ancora nella sentenza 20728 della sezione lavoro – certamente diversa dall’aver impiegato l’orario lavorativo in attività diverse dalla prestazione”.
Piazza Cavour ha bocciato la tesi difensiva e, ribadendo l’illegittimità del licenziamento inflitto al dipendente, ha ricordato che gli elementi raccolti contro il lavoratore non erano “sufficienti a fondare la certezza che durante l’orario di lavoro il dipendente si fosse dedicato alla visione dei filmati potendo, tutt’al più, alimentare il sospetto che ciò possa essere avvenuto che però non è idoneo a ritenere provato l’addebito”. Inoltre la Cassazione fa notare che “le asserite ammissioni del dipendente restavano circoscritte al fatto di avere visto lo scorcio di un filmato” a luci rosse “durante la pausa mensa. Circostanza -annota ancora piazza Cavour- certamente diversa dall’aver impiegato l’orario lavorativo in attività diverse dalla prestazione”
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