Lo strappo, inevitabile, alla fine si è materializzato. Da qualche ora il centrodestra ha due anime, due partiti, due strategie e soprattutto due futuri, politicamente incerti. Da una parte Silvio Berlusconi, un leader carismatico al tramonto in grado comunque di raccogliere ancora tanti consensi, con uno zoccolo duro, quello della nuova Forza Italia, elettoralmente robusto in grado di vincere il confronto con il Pd per la guida del Paese. Dall’altra Angelino Alfano, un piccolo leader parlamentare, già coordinatore, ma non a furor di popolo, del vecchio Pdl, che ora, senza la tutela del vecchio padre padrone dovrà dimostrare di potercela fare da solo con l’aiuto dei settanta deputati e senatori che ieri sera a Palazzo Santa Chiara, nel pieno centro storico della Capitale, hanno deciso, dopo un’affannosa riunione semicarbonara, di continuare la propria strada da soli, senza Berlusconi, ma insieme al Presidente del consiglio Enrico Letta.
Il dado per il centrodestra è dunque tratto. Sarà guerra civile? Probabilmente no. Non c’è la voglia, non ci sono le condizioni politiche. Lo si è visto al consiglio nazionale del Pdl, l’ultimo, che stamane, all’unanimità, senza un solo voto contrario e senza una sola astensione, ha approvato il documento politico finale con il quale sulle ceneri del partito della libertà, un Cavaliere stanco ed amareggiato intende ricostruire il “suo“ centrodestra. “Non dobbiamo creare un solco difficilmente colmabile con quanti hanno deciso di andare via. Non dobbiamo commentare questo abbandono, non vanno attaccati”. E’ un Berlusconi generoso ed avveduto, un politico scaltro e lungimirante, quello che ieri ha deciso di non mettere nell’angolo, perseguitandoli, gli scissionisti. “Restano nella grande famiglia del centrodestra” fa sapere, forte di quella unanimità tutt’altro che scontata alla vigilia, che ancora una volta ha chiaramente indicato chi è il leader del centrodestra italiano. E per ribadire che la linea da seguire resta ancora quella indicata negli ultimi anni, Berlusconi ha fatto gran spolvero dei temi a lui cari, anche se spesso clamorosamente e quasi totalmente disattesi nel corso degli ultimi anni: rivoluzione liberale e riforma elettorale, meno vincoli e rilancio dell’economia, meno tasse e fisco meno opprimente nei confronti del cittadino, riforma della giustizia e della burocrazia.
Ora c’è da chiedersi: quale sorte toccherà al governo? Di sicuro, al momento, grazie anche alla scissione di Alfano e all’uscita dei popolari di Casini da Scelta Civica, l’esecutivo non deve temere nulla. I numeri per governare cosi come la blindatura del Quirinale sono dati acquisiti e rappresentano il tesoretto che consentirà a Letta di andare avanti fino alla prossima primavera quando con ogni probabilità gli italiani saranno chiamati di nuovo a votare in presenza di un quadro generale più complesso e litigioso che avrà come unica novità i volti dei giovani che saranno chiamati, il prossimo otto dicembre a guidare il partito democratico.
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