Flavia Pennetta regina di New York
“Allora, come ti senti, campionessa?”, “Non c’è male, e tu dopo aver battuto Serena?”, “Sì ma mi sarebbe piaciuto di più essere al tuo posto”, “A proposito, ma lo sai che ho deciso di smettere a fine anno?”, “Ma non starai dicendo sul serio?”, “Sì sì, ormai la decisione è presa”, “Allora ok, se è quello che ti senti, allora fai bene”. Come si fosse in un salotto di casa tra tè e pasticcini. Solo che il salotto in questione era l’immenso catino del centrale di Flushing Meadows. E abbiamo voluto immaginarcelo così il contenuto di quel meraviglioso e tenero siparietto inscenato sui rispettivi seggiolini da Flavia Pennetta e Roberta Vinci in attesa della premiazione che ha suggellato questa per noi storica edizione 2015 degli Us Open al femminile. E, pur avendo solo potuto immaginare il dialogo tra le nostre due splendide campionesse, almeno quanto alla confessione dei propositi di ritiro da parte della brindisina, non siamo andati troppo lontani dalla realtà, visto che sin lì solo i familiari (ma vedremo che poi neanche loro erano del tutto al corrente della decisione della pargola), il fidanzato collega Fognini (ma solo dal mattino) , il coach Navarro e il fisioterapista Tosello sapevano. Roberta ne ha appreso solo durante quella improvvisata chiacchierata.
Poi, l’annuncio shock ai microfoni dell’Espn (a proposito, quanta nostalgia per la copertura televisiva della Cbs che almeno ci aveva sempre risparmiato le interviste “volanti” di brasiliana memoria…). “Questo è stato il mio ultimo Us Open”. Poi precisato, in conferenza stampa con un “non è stato il mio ultimo match perchè continuerò fino a fine stagione avendo in programma i tornei di Wuhan e Beijing” oltre alle più che probabile Wta Finals (il Master, per capirci) di scena a Singapore (ora Flavia è salita al n. 8 della classifica Wta, suo best ranking e al n. 6 della race, mentre Roberta occupa, rispettivamente il n. 19 e il n. 18, ndr). Una decisione difficile, quella della brindisina, ma che lei aveva già maturato durante il torneo di Toronto. Ben prima della conclusione degli Us Open, quindi, in un momento in cui un exploit del genere non era neppure immaginabile. Ma questo poco conta. In realtà, a far maturare l’idea di abbandonare l’agonismo c’è il legittimo e rispettabilissimo desiderio di staccare la spina dalla necessità di mantenere sempre livelli massimali di competitività (“Mi ritiro perchè combattere ogni settimana è durissima”, le sue parole). Attenzione, Flavia non ha dichiarato di essersi stancata di condurre un’esistenza dedita ad allenamenti massacranti e scandita da continui viaggi, molti dei quali intercontinentali, e dal desiderio di avere una vita “normale”. Anzi, proprio durante la seconda settimana del torneo newyorkese aveva voluto ribadire quanto la vita da tennista professionista le piacesse ancora molto e che gli allenamenti non le erano affatto di peso. Un umanissimo desiderio di non vivere più sotto costante pressione. Quella dei match ufficiali e della competizione esasperata. Una mosca bianca, insomma in un mondo, quello del tennis professionistico, dove tutti o quasi i ritiri prematuri di tennisti di punta erano stati motivati con una sorta di crisi da saturazione (l’esempio più eclatante fu ovviamente quello di Borg, anche se nel caso dello svedese non risultarono indifferenti anche dispute con il Pro Council circa la possibilità di ridurre il numero di tornei da giocare, oltre, chiaramente, alla sopravvenuta consapevolezza di non poter più tenere il passo dell’astro nascente McEnroe). E se la motivazione, come nel caso della brindisina, poggia sul bisogno di allontanare lo stress (non dimentichiamo che la tennista azzurra aveva accusato anche attacchi di panico prima di alcuni match, ndr), difficile che possano esservi ampi margini per un ripensamento. L’altro motivo, Flavia non lo dice espressamente ma lo fa capire (più esplicita mamma Concita quando afferma: “Quando si arriva ad una certa età, per una donna è così, diventa importante organizzarsi anche fuori dal campo” ) è legato al rapporto sentimentale con il collega Fabio Fognini che, stando ai beninformati, procede talmente a gonfie vele da rendere ormai imminenti le nozze. Ovviamente, uno stop prolungato anche per un’eventuale maternità, a 33 anni, non renderebbe più possibile il prosieguo dell’attività. Altrettanto ovviamente, in Fit e al Coni non devono averla presa benissimo, infatti Giovanni Malagò, dopo aver commentato a caldo la notizia si era riservato di “parlare di persona con Flavia”. Ancora più netto il presidente della Fit, Angelo Binaghi, che, ai microfoni di Radio 24, non ha usato alcuna perifrasi: “Non mi ha commosso perché io penso con il Presidente Malagò, di dover, a bocce ferme, riapprofondire questo argomento con Flavia che probabilmente sul grande slancio emotivo ha rilasciato questa bellissima dichiarazione. Io credo serva al nostro paese in chiave Rio, sia in singolare che in doppio che in doppio misto e credo che debba essere una delle frecce più importanti nell’arco del Coni per raggiungere un buon risultato nel medagliere”. De resto, Malagò, prima ancora le due ragazze scendessero in campo per la finale, aveva professato a Binaghi tutto il proprio ottimismo in vista dei tornei olimpici di tennis di Rio 2016: “Una medaglia mi andrebbe bene” , aveva detto il presidente della Fit, “A me no, si può ottenere di più”, la replica del presidente dello sport italiano tutto. Il ragionamento di Malagò è semplice: non ci saranno solo le due prove di singolare ma anche quelle di doppio maschile e femminile e il doppio misto. E Flavia poteva essere competitiva in tutte e tre le discipline. Forte del nuovo sodalizio professionale con Sara Errani e dell’impossibilità di molte coppie di iscriversi nella propria attuale composizione, visto che molte di loro non hanno la medesima nazionalità (un esempio lampante è dato dalla coppia leader del ranking Wta e fresca vincitrice qui a New York, ossia Martina Hingis, elvetica, e Sania Mirza, indiana). Ora, invece, occorrerebbe ricucire in tutta fretta lo strappo tra Vinci ed Errani. Il forcing su Flavia per farla recedere dal proprio intento è già iniziato e, difatti, la pugliese si sarebbe mostrata, nelle ultime ore, un filo più possibilista: “Ritiro? Lascio un 2%, meglio di niente, no?”, salvo poi precisare che: “Non credo ci ripenserò sinceramente, sono molto contenta della decisione che ho preso, sono così serena che forse era veramente il momento giusto”. E anche papà Oronzo sta cercando di operare una “moral suasion”. Ora, fermo restando la legittimità di entrambe le posizioni, è chiaro che ci si trova di fronte ad una donna estremamente decisa e che, mentalmente, non aspetta altro che staccare la spina. Giocare a Rio controvoglia e sotto la pressione di una o più medaglie da portare a casa a tutti i costi non gioverebbe a nessuno.
Per quel che concerne il polverone sollevatosi circa la presenza del premier Matteo Renzi sugli spalti dell’Arthur Ashe Stadium, ci sembra giusto dire che una forte presenza istituzionale, data l’eccezionalità dell’evento, fosse non solo opportuna ma doverosa e le successive polemiche sulle spese di viaggio assolutamente pretestuose. Unico appunto che si può fare, a nostro avviso, è che, come giustamente ricordato da molti, in circostanze analoghe si erano presentati i Capi di Stato della nazione rappresentata dagli atleti in campo (molto gettonato, a tal proposito, l’esempio di Sandro Pertini al Bernabeu). Capi di Stato, per l’appunto, cioè presidenti o monarchi. Teoricamente avrebbe dovuto esserci Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica. E non il presidente del Consiglio. Ma, data la proverbiale ritrosia dell’attuale Capo dello Stato italiano a mostrarsi in pubblico, unita al protagonismo del premier in carica e alla strategia di comunicazione del Governo che vuole il volto di Renzi rigorosamente associato ad eventi a lieto fine garantito , è già andata più che bene così.
Quanto all’aspetto tecnico, la finale, a dirla tutta, è stata un match piacevole solo a tratti con picchi concentrati tra la fine del primo set ( tie break escluso perchè troppo condizionato dai sanguinosi errori di Roberta con il dritto, colpo chiave con Serena) e l’avvio del secondo dove agli affondo della tarantina conditi da soluzioni tanto estemporanee quanto efficaci ed esteticamente pregevoli (una carezza di dritto morta appena al di là del net), la brindisina ha saputo opporre una maggior solidità soprattutto con il rovescio bimane in costante spinta e si è appellata, nei momenti topici, ad un servizio che ha fatto parecchio male alla corregionale. All’inizio e nelle ultime fasi è stata la tensione a farla da padrona. Comprensibilmente, vista la posta in palio.
Alcuni passanti di rovescio davvero pregevoli per potenza e precisione da parte della vincitrice, ma anche delle soluzioni di tocco di squisita fattura per “l’altra vincitrice” (giusto appellare così Roberta, in fondo la sua impresa in semifinale con Serena valeva da sola uno Slam o quasi e per comprenderne la portata, oltre ai fiumi di statistiche già citate in questi giorni, basti ricordare che in 28 occasioni la minore delle Williams è arrivata alla semifinale di un major e quella con la Vinci è stata solo la quarta sconfitta in carriera, dopo quelle patite con Venus a Wimbledon 2000, dalla Henin al Roland Garros 2003 con il pubblico francese che fece un tifo d’inferno per la belga, e con l’altra belga, Clijsters allo Us Open 2009 ) rimarranno negli occhi. Ma nulla resterà impresso nella memoria più dell’abbraccio finale tra le due finaliste e del successivo informale, divertente e divertito “salotto americano”. E nulla sarà più commovente del commiato (definitivo o part time che sia) della nuova regina di New York.
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