0-0 e Spagna padrona del gioco ma un po’ jellata, tra mille occasioni perse e un’eroica resistenza degli azzurri avrà pensato che si sintonizzava solo al 120’. 0-0 e un dominio a tratti imbarazzante con un intero primo tempo a fare la voce grossa e che i ragazzi di Prandelli avrebbero dovuto condurre anche con due reti di scarto ha pensato chi ha visto la partita sin dal fischio d’inizio di Webb. Si potrebbe sintetizzare così quanto accaduto a Fortaleza al termine di una prestazione che resterà impressa come un marchio a fuoco nella memoria di ogni tifoso della nazionale. Stavolta, a differenza della notte di passione contro il Giappone, gli olè del pubblico neutrale brasiliano sono tutti per noi. Anche questo rimarrà trai ricordi più belli. Tanto erano stati irridenti nei nostri confronti e ci avevano fatto male quelli di Recife, tanto sono stati piacevoli e ci inorgogliscono quelli del Castelao. Mentre fuori divampavano gli scontri tra manifestanti e polizia (a proposito, è deceduto il giovane 21enne caduto dal viadotto a Belo Horizonte prima di Brasile-Uruguay), in campo si è vista, per più di un’ora, una sola grande squadra. E non era la Spagna. Poi, comunque, tornata ai suoi livelli nei minuti conclusivi dei regolamentari e durante i supplementari. Ma l’Italia non solo ha giocato come doveva per neutralizzare il tiki taka iberico, ma ha fatto molto di più: ha imposto il proprio gioco e, a tratti, persino il proprio palleggio. A memoria di chi scrive, non si ricorda una Spagna così sottomessa al proprio avversario come ieri. Prandelli sapeva che per avere anche solo una pallida speranza di farcela avrebbe dovuto esigere uno sforzo incredibile in termini di pressing, reattività e concentrazione ma i suoi lo hanno ripagato con una moneta ancor più pregiata: coraggio, iniziativa costante, velocità di pensiero e di esecuzione, personalità e anche un bel po’ di fisicità. I primi ad arrivare sul pallone erano sempre gli uomini vestiti di bianco con banda orizzontale azzurra ( e fascia nera al braccio in ricordo di Borgonovo, spentosi poco prima del fischio d’inizio). Le furie rosse uscivano dal terreno per l’intervallo stordite. Ma le furie, stavolta, eravamo noi. Un primo tempo d’intensità mostruosa dei nostri con una inedita linea difensiva a tre (Bonucci, Barzagli e Chiellini), giovatasi degli automatismi juventini, alta ma non troppo per non farsi schiacciare a ridosso di Buffon ma anche per non prestare troppo il fianco alle infilate iberiche. Un centrocampo finalmente dinamico. Ma non solo corsa. Anche idee e qualità. Tanta. Spagna incapace di organizzare una efficace contromossa. Le sortite dei nostri si sviluppavano secondo tre diverse direttrici: lanci lunghi, palleggio ravvicinato a pelo d’erba tra Pirlo e De Rossi, oppure accelerazioni lungo la fascia di un devastante Candreva, pronto sia a duettare sulla “catena di destra” con l’accorrente Maggio sia a cambiare gioco per il moto perpetuo Giaccherini. Nei venti minuti iniziali, Casillas è graziato dall’imprecisione di Marchisio e dello stesso Giak, ed è costretto agli straordinari su un’arrembante Maggio che per due volte ci fa gridare al gol. Il primo vero pericolo la Spagna ce lo crea solo dopo più di mezzora con una magia di Torres che si libera in un fazzoletto di Barzagli (stremato dai soliti acciacchi fisici, alzerà bandiera bianca nell’intervallo) e poi chiude di un niente l’angolo con Buffon che nulla avrebbe potuto. Ma è l’unico acuto degno di nota dei campioni di tutto. Nel secondo tempo, Prandelli è costretto dalla resa di Barzagli a cambiare un po’ le carte: entra Montolivo che affianca Pirlo nella zona nevralgica del campo mentre De Rossi è costretto a retrocedere come centrale difensivo dove offrirà saggi di bravura persino superiori a quelli offerti, nella medesima posizione, a Danzica. L’intensità dei nostri cala un po’ ma la Spagna si capisce che è ancora sotto choc. Ma quando si riprende cominciano i pericoli. Pedro sciupa un’occasione solare a tu per tu con Buffon bravo a chiudergli lo specchio, Navas e Jordi Alba lo impegnano dal limite e Piquè, sotto gli occhi di una Shakira non più tanto sorridente e sicura, manda alle stelle da ottima posizione. Ma, e la cosa sembrerà un assurdo, le palle-gol spagnole arrivano tutte al termine di italianissimi contropiede. L’iniziativa è ancora saldamente tra i nostri piedi. E davanti, Gilardino, il sostituto di Balotelli, è autore di un encomiabile lavoro sporco fatto di sponde e di movimenti tesi a creare continui spazi per i nostri arrembanti laterali. Dire che l’assenza di SuperMario non si avverte sarebbe sbagliato ma non renderebbe giustizia alla prova di grande sacrificio dell’attaccante bolognese. Quantomeno, non siamo tentati di buttare il pallone avanti alla “spera in Balo”. Dobbiamo ragionare e far circolare velocemente la sfera anche dove gli spazi si fanno intasati. Come nella pallanuoto. E non patiamo affatto il loro pressing sui nostri portatori di palla. Lo sforzo profuso, però, è immane e la spia della riserva si accende. L’ultima fiammata la regaliamo in apertura di supplementari (a proposito: al momento è l’unica partita in questa competizione ad essersi chiusa in parità al 90’) quando Giaccherini stampa sul palo, a Casillas battuto, un assist al bacio del sempre vivace Candreva che aveva fatto il vuoto sulla destra. Da lì in poi, solo Spagna ma è anche giusto così. I ritmi si abbassano e le migliori qualità di palleggio della squadra di Del Bosque non possono non emergere. La sostituzione di Torres rimescola le carte. Ora la Spagna preme ma senza più punte di ruolo. In avanti si alternano persino i centrali Piquè (murato da De Rossi quando aveva già nel mirino la porta), Ramos e il neo entrato Javi Martinez. Xavi da fuori costringe Buffon a una goffa respinta ma stavolta la fortuna è azzurra: pareggiato il conto dei legni. Dopo un recupero infinito ( e nessuno potrà mai dimenticare che, nell’enfasi della cronaca, i due cronisti Rai, Bizzotto e Dossena, in piena “trance agonistica”, non si erano accorti del minuto in più segnalato dalla regia brasiliana…), giusta conclusione dagli undici metri. Prima della roulette russa, Prandelli va a complimentarsi con tutti i suoi e con il collega Del Bosque che, inquadrato in primo piano, è una maschera di sudore e sofferenza come mai visto prima. Piccole- grandi soddisfazioni. Dal dischetto si assiste a dodici esecuzioni da mostrare alle scuole calcio di tutto il mondo. Due mostri sacri come Buffon e Casillas quasi mai neppure vicini a sfiorare il pallone. Con la ciliegina della prima realizzazione in cui Candreva estrae dal cilindro un cucchiaio benaugurante con una freddezza da veterano in azzurro. Stavolta, però, l’epilogo non sarà quello della semifinale di Euro2000 o del quarto di finale dello scorso anno. Bonucci manda alle stelle, mentre Jesùs Navas spedisce la Spagna al Maracanà contro il Brasile. A noi l’Uruguay per il terzo posto. La delusione è grande ma lo è altrettanto l’orgoglio che proviamo per aver tenuto in scacco i più forti del mondo. E la sorpresa è proprio quella di trovarci ora a parlare di rimpianti. Quella di essere stati sorpresi noi per primi, oltre agli un po’ spocchiosi iberici. Ora si potrà anche speculare sulla tendenza atavica del nostro calcio ad essere piccoli con i piccoli e grandi con i mostri sacri, quando i pronostici ci sono avversi e le aspettative minori. Ma questo Italia-Spagna 6-7 d.c.r. lo ricorderemo a lungo. Le furie in campo eravamo noi. E, come detto da Chiellini, stavolta “ad uscire a testa alta sarebbero dovuti essere loro”.
D.P.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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