Due bare bianche, affiancate nelle esequie come nel corso della loro breve esistenza. Gaia e Camilla, le due sedicenni travolte e uccise sul viadotto di Corso Francia, a Roma, da una vettura troppo veloce e, soprattutto, condotta da un giovane inesperto positivo ad alcool e droga, sono state salutate questa mattina da parenti e amici.
Era gremita la chiesa del Preziosissimo Sangue, a Collina Fleming, dove le due ragazze abitavano e dove stavano rientrando la notte in cui sono state falciate. Tantissimi i ragazzi, fra cui anche i compagni di classe della terza C del liceo linguistico De Sanctis; decine le corone di fiori (anche quella del sindaco della città) per le due amiche inseparabili . Sul luogo della tragedia, invece, insieme a tanti mazzi di uno striscione che le saluta: “Ciao Angeli”. Grande la commozione anche di chi, tra i partecipanti, pur non conoscendole ha voluto tributare loro l’ultimo saluto.
«Siamo abituati a vivere tra tecnologie e innovazione eppure brancoliamo nel buio ed è quello su cui dobbiamo riflettere: su questa ora buia».
Così ha esordito il parroco, don Gianni Matteo Botto, nella sua omelia funebre. L’invito è a riflettere su «l’insensatezza di ciò che è avvenuto», il suo discorso fa perno su tre parole: buio, speranza e amore. L’ultima, l’amore, è «quella che dà senso alla vita», ha detto.
«Questo terribile incidente ha fatto crollare ogni sovrastruttura della nostra vita. Le nostre prosopopee, le nostre chiacchiere. Qual è il senso della nostra vita? Mandarla in fumo? Berci la nostra vita? Questa è vita?- chiede il Parroco – O sono finte libertà? Un arbitrio che in realtà toglie la libertà perché ci toglie la consapevolezza»’, e rende «schiavi».
Schiavi di ciò che troppi giovani credono possa aiutare ad alleviare incertezze e difficoltà, la droga e l’alcol. Giovani che vediamo a decine davanti ai pub e nelle piazze della movida e che dal loro abbigliamento, come dalle minicar in sosta davanti ai locali degli aperitivi, mostrano non mancare di ciò che è materiale. Ma che certamente, considerati i gravi fatti più recenti, sono carenti della guida necessaria a dar loro sicurezza per affrontare un mondo così diverso da quello che dovrebbe essere il loro. Una guida che chiama in causa la parola ‘amore’ con quel che ne consegue. Soprattutto ascolto e attenzione: ai loro discorsi, che ci trovano spesso trovano distratti, alle loro piccole e grandi necessità che possiamo intuire solo conoscendoli più a fondo, sapendone le abitudini anche quelle pericolose come appunto un bicchiere di vino o una birra di troppo e qualche ‘erba’ fumata in cerca di benessere.
«Magari quando sei sbronzo ti metti pure a guidare. In fondo pensiamo tutti di essere un po’ padreterni, superuomini, e poi non riusciamo a seguire le regole comuni», ammonisce con Gianni Matteo Botto nella sua omelia. E aggiunge: «Non siamo forse tutti un po’ superbi? Oggi ci riscopriamo tutti un po’ palloni gonfiati’».
Camilla Romagnoli, “la piccola di casa”, come ha ricordato oggi la sorella, qualche giorno fa aveva chiesto in famiglia quale era il senso della vita: “Io non ti ho saputo rispondere – confessa Giorgia – Ecco, adesso lo dico: il senso della vita sei tu”.
“Bisogna vivere il dolore per capirlo”, dice ancora questa ventenne che lo scopre precocemente e tragicamente.
Ancora più precocemente lo aveva conosciuto Gaia Von Freymann, l’amica del cuore di Camilla, la compagna di banco che mano nella mano con lei, ha perso la vita per l’impatto tremendo con la vettura condotta da Pietro Genovese, 20enne, da ieri ai domiciliari per omicidio stradale, con tracce di droghe nel sangue e un tasso alcolemico di gran lunga superiore al consentito.
Gaia era vivace e molto sportiva, diversa dall’amica Camilla, più timida e silenziosa. Prima faceva canottaggio alla ‘Tevere Remo’ e da qualche tempo giocava a pallavolo. Figlia unica di genitori che si sono separati quando era ancora piccola, Gaia era di origini finlandesi per parte di padre, carabiniere in congedo ed ex broker assicurativo, paraplegico dopo un incidente in moto all’Eur nel 2011. Aveva la valigia pronta per partire subito dopo Natale in viaggio con la mamma. Ma il suo sogno era stato consegnato ad Ask.fm, il social che spopola tra i ragazzini, dove si mettono un po’ a nudo pensieri e dubbi dell’adolescenza, una domanda alla volta: “Vorrei avere un super-potere: cambiare il passato”. Ma riavvolgere il nastro non si può. Non può lei, non può chi l’ha investita, non può il papà Edward, carabiniere in congedo ora intermediario assicurativo, che alle quattro di notte, dopo avere riconosciuto la figlia, ha avvisato il resto della famiglia con un sms: «La nostra piccola è volata in cielo».
Ecco perché è urgente fare in modo che i più giovani si pongano la domanda sul senso della vita, in genere, e imparino a cercare una ragione per vivere la propria al meglio. Benché questo senso possa rimanere oscuro per molti quando la fede non viene in supporto di ragionamenti che devono necessariamente affondare le radici in profondità, tutti possiamo e dobbiamo trovare la nostra motivazione all’interno della vita stessa. Questa è stata la grande intuizione dei pensatori esistenzialisti come Camus. Mentre Gandhi scrisse che aveva trovato questo senso nel “servizio a tutto ciò che vive” e un sacerdote francese, Ernest Dimnet, lo avera trovato nel guardare oltre se stesso: “Cosa ha fatto la vita per me? Mi ha dato la possibilità di abbandonare il mio naturale egoismo e di questo gliene sono molto grato”.
Elisa Rocca
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