Sempre più tedeschi voltano le spalle ad Angela Merkel. All’indomani di una giornata di elezioni all’insegna della confusione, l’unico verdetto apparso chiaro a tutti è l’affermazione di Alternative fuer Deutschland, il partito populista di destra guidato da Frauke Petry, che ha fatto della lotta al piano-Merkel di accoglienza ai migranti il suo cavallo di battaglia.
Ieri in Germania si è votato per eleggere i parlamenti e i governatori di Baden-Wuerttemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt, tre dei sedici Laender in cui è diviso il Paese. In tutti e tre gli stati si sono confermati i governatori uscenti, rispettivamente il verde Winfried Kretschmann, la socialdemocratica Malu Dreyer e il cristiano-democratico Reiner Haseloff. AfD ha superato tutti i pronostici, ottenendo nei tre stati il 14%, il 12% e un imprevedibile 24%. In Sassonia-Anhalt la lista populista di destra è la seconda forza, negli altri due stati è la terza.
Per la CDU si è trattato sicuramente di “una giornata pesante”, come ha riconosciuto la Cancelliera nella sua conferenza stampa di oggi. Il suo partito ha perso terreno su tutti i fronti: dal 39% al 27% in Baden-Wuerttemberg, dal 35,2% al 31,8% in Renania-Palatinato, dal 32,5% al 29,8% in Sassonia-Anhalt, dove pure è stato il più votato. Il partito socialdemocratico, alleato con la CDU nella grande coalizione federale, ha fatto ancora peggio. In Renania-Palatinato ha contenuto le perdite e ha conservato la prima posizione, ma negli altri due stati la sua sconfitta ha i caratteri del tracollo. In Sassonia-Anhalt – all’Est, dove non ha mai avuto vita facile – è scesa dal 21,5% al 10,9%.
Secondo gli analisti, è il segno di una polarizzazione netta del corpo elettorale tedesco sulla questione dell’accoglienza. Questo spiegherebbe anche il calo delle astensioni: rispetto alle consultazioni di cinque anni fa, la percentuale di votanti sugli aventi diritto è cresciuta tra il 5% e il 12%.
Che l’elettorato si fosse schierato in modo netto si era avvertito sabato, quando alla manifestazione indetta a Berlino dagli estremisti di destra hanno partecipato tremila persone. Le autorità si aspettavano tutt’al più qualche centinaio di dimostranti, e nessuno aveva pensato di organizzare una contromanifestazione organizzata. E così, marciando dietro uno striscione che chiedeva alla Merkel, a lettere cubitali, di farsi da parte, i manifestanti sono arrivati fino al Reichstag.
In realtà, gli elettori non hanno bocciato la linea della cancelliera: ad eccezione di AfD, gli altri partiti sono tutti più o meno favorevoli ad accogliere i profughi, anche se non tutti condividono la sua scelta delle porte aperte a oltranza (anche contravvenendo ai patti internazionali). Anzi, all’interno del suo partito i candidati sconfitti – Guido Wolf in Baden-Wuerttemberg, Julia Kloeckner in Renania-Palatinato – sono quelli che hanno preso le distanze dal piano-Merkel. La Kloeckner, in particolare, ha iniziato a perdere consensi quando ha appoggiato la proposta della CSU – il partito cristiano-sociale della Baviera, autonomo rispetto alla CDU – di un “piano B” per i profughi. Un elettore cristiano-democratico su due li giudica responsabili di “slealtà” verso la Cancelliera. A favore dell’accoglienza, invece, si erano schierati i due governatori uscenti sostenuti da altri partiti, Kretschmann e la Dreyer.
Il piano-Merkel insomma è sopravvissuto all’esame, ma i contrari – CSU, AfD e una “fronda” interna alla CDU – sono più pronti che mai allo scontro. Nelle prossime settimane la Cancelliera sarà sicuramente accusata di aver navigato troppo a sinistra, lasciando nel centrodestra un vuoto riempito dai populisti di AfD.
La nascita di una formazione politica schierata più a destra dei cristiano-democratici, un tabù sdoganato solo negli ultimi anni, è la vera novità di queste elezioni, e dirà la storia se si tratta di un fuoco di paglia o di una ristrutturazione del sistema. Il partito ha una storia breve – è stato fondato nel 2013 – ma ha già attraversato una crisi profonda da cui è uscito con una guida nuova. Agli economisti euroscettici che l’avevano fondato, guidati da Bernd Lucke, nel 2015 si è sostituito il gruppo che fa capo a Frauke Petry, che si concentra sulla questione dell’accoglienza ai profughi. Mentre l’ala di Lucke è uscita dal partito per fondarne uno nuovo (Alleanza per il progresso e il rinnovamento), la nuova leadership ha allineato il partito a destra, attirandosi accuse di xenofobia.
L’altro ostacolo che andrà scavalcato nelle prossime settimane è la frammentazione dei parlamenti regionali usciti dalle urne. Nessuno dei tre ha una maggioranza chiara, circostanza insolita in un paese abituato prima al bipolarismo, poi a grandi coalizioni trasversali. In Baden-Wuerttemberg, dove i socialdemocratici hanno perso più terreno, l’alleanza “rosso-verde” che finora aveva sostenuto Kretschmann non raggiungerebbe il quorum. Qualcuno ha ipotizzato che i verdi potrebbero chiedere aiuto alla CDU, ma si tratterebbe di un esperimento senza precedenti. Negli altri due casi, la matematica impone coalizioni di almeno tre liste. Per ora nessuno sembra disposto ad accordarsi con AfD, per non rischiare la faccia con i propri elettori.
Il prossimo appuntamento con le elezioni regionali in Germania è il prossimo autunno: il 4 settembre si vota in Meclemburgo-Pomerania, il 18 dello stesso mese a Berlino.
F.M.R.
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