Chi lo ha amato per le sue splendide canzoni non può che essere dilaniato dal dubbio. Ma Gino Paoli, il Gino nazionale introverso e scontroso, “fatto cosi…” come sono fatti quelli che nascono a Genova, irruenti, qualche volta arroganti, e quasi sempre un po’ cortini di braccio, è davvero un evasore, uno che esporta capitali all’estero per non pagare le tasse? La domanda è legittima e le risposte lo sono altrettanto.
La prima l’ha fatta la Guardia di Finanza e si è data una risposta che ha anche sancito una prima verità (da verificare comunque in sede giudiziaria), e cioè che Gino Paoli è un evasore fiscale che deve allo Stato italiano ottocentomila euro di tasse per aver portato all’estero due milioni di euro che invece avrebbe dovuto lasciare e denunciare in Italia. Sulle risposte la questione si complica perchè ai suoi concittadini che cercano di capire come stiano effettivamente le cose, Gino Paoli risponde sbuffando e mandando tutti a quel Paese: “Non accetto le critiche, ora basta”.
Lo stile, come lo stato d’animo del cantautore, non è dei migliori e lo dimostra nel corso di una intervista rilasciata al Corriere della Sera (dove il musicologo Luzzatto Fegiz se ne guarda bene, però, dal chiedergli se avesse o meno portato capitali all’estero) quando anche la linea difensiva vacilla tremendamente per lasciare spazio ad argomentazioni dove l’arroganza si unisce alla becera furbizia, propria degli uomini nati sotto lo stellone peninsulare, da sempre abituati ad assolversi quando fanno e tentano di nascondere goffamente peccatucci e peccatoni per i quali si finisce nell’inferno. Delle critiche appunto.
Poi, ad aggravare tutto, la rabbia che potrebbe sconfinare addirittura in violenza fisica quando il cantautore si lascia andare ad un minaccioso: “Quando mi sento ferito o umiliato ingiustamente io non porgo l’altra guancia. Sono capace di scatti d’ira incredibili. Una parola storta e va a finire male. Quindi ora me ne sto a casa e cerco di parlare il meno possibile… Mia moglie blocca ogni mio contatto con i giornalisti. Mi hanno tirato addosso tutta la m… possibile. Eppure i miei avvocati mi assicurano che non ho commesso nessun reato”.
Tante cose in questa storia non quadrano e Paoli lo sa. Come lo sanno tutti coloro che le storie di evasori e mascalzoni, grandi e piccoli le leggono sui giornali o le guardano in tv. La verità è che per il cantante genovese le difficoltà maggiori derivano dal fatto che l’imbarazzo della difesa è appesantito da quell’aureola di uomo di sinistra, impegnato e critico, che lo accompagna da quando si è affacciato alla ribaltà della notorietà. Uno status, ricordiamo noi che avrebbe dovuto renderlo immune e tenerlo lontano da tentazioni o comportamenti illegali. Ma cosi non è stato.
Ed ecco il nostro Paoli nazionale spiegare perchè si è dimesso dalla presidenza della Siae. “In questi giorni ho lungamente riflettuto – racconta -. Mi sono chiesto: faccio più danno alla Siae e ai suoi soci e iscritti restando alla guida, con la certezza di finire tutto quello che ho cominciato, o dimettendomi lasciando molte cose incompiute? Alla fine ho deciso”. Ed ecco il novello Cincinnato dalla forte tempra morale, che preferisce lasciare.
Cosa dire? E’ difficile sapere se e cosa abbia fatto il cantautore alla guida di una delle poche società pubbliche e parapubbliche che funzioni nel Paese dei campanelli e dei marpioni. Onestamente la sua gestione è passata pressocchè inosservata, anonima. L’uomo è discreto quando fa bene, ovvero quando canta e compone, e quando fa male, per esempio portando in Svizzera soldi presi in nero da produttori, aziende e partiti. Qualcuno ha provato a spiegare al signor Gino Paoli che è stata frutto di pressioni politiche la sua nomina alla Siae? E che le spinte altrettanto targate lo hanno messo nella condizione di fungere da sostituto d’imposta (dunque esattore anche lui ) quando chiede soldi, diritti e tasse ai suoi colleghi esecutori, autori ed editori?
Ma veniamo all’aspetto forse più tragicomico della vicenda. Gino Paoli parla dei suoi impegni da artista che in questi ultimi giorni hanno subito una drastica riduzione per limitare le uscite pubbliche: “Sì ho dovuto cancellare due concerti e una manifestazione in memoria dello studioso e amico Gianni Borgna. E sa perché l’ho fatto? Perché mi conosco. Se qualcuno, in queste occasioni pubbliche, mi avesse fatto qualche battuta di quelle che circolano adesso, qualche sfottò, bene io l’avrei mandato all’ospedale nonostante i miei ottant’anni…
La rabbia che probabilmente non lo fa dormire la notte ha fatto scattare una specie di inconscia autopunizione artistica e finanziaria che non ha risparmiato nemmeno l’amico e sodale politico Gianni Borgna, uno dei più bravi organizzatori delle estati romane ma anche uno dei più validi collaboratori dei festival nazionali dell’Unità dove Paoli appunto andava a cantare, sembra non proprio per solidarietà politica, o almeno non solo per quella. La Guardia di Finanza avrebbe accertato evasioni anche su quelle entrate. La sua fuga dunque, non fa onore a nessuno tantomeno al suo bravo e universalmente stimato ex compagno di partito. Il cantautore ha fatto la scelta peggiore, dimenticando che mettere il sale, quello del mare, sulle ferite della coscienza può essere comico e devastante al tempo stesso. Meglio, molto meglio, il silenzio che gli suggeriva la saggia quanto inascoltata moglie.
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