E derby sia, dunque. Ci sono voluti 55’ di gioco perché la Roma si scrollasse di dosso ansie, paure e forse anche un po’ di presunzione per ridimensionare le velleità di quel che resta dell’armata Brancaleone nerazzurra e indirizzare l’epilogo della Coppa nazionale verso una stracittadina da tutto o niente (la qualificazione in Europa League è garantita solo a chi vince e senza dover passare per i preliminari e non anche alla finalista sconfitta) che promette di essere il derby più pesante della storia delle due società romane. Un derby tanto atteso prima e, dopo gli incresciosi episodi di violenza dell’8 aprile, molto temuto e forse neanche troppo desiderato poi, da Viminale e Prefettura in giù. Sì, perché molti laziali non lo avrebbero mai voluto (meglio preservare le coronarie e giocarsi il tutto per tutto con la rabberciata Inter, peraltro in un clima di festa con due tifoserie amiche e già sperimentate in più occasioni di un ultimo atto di Coppa, sia Uefa che Italia o Supercoppa), i romanisti sì ma solo perché loro il pass se lo dovevano ancora conquistare e con la Lazio già in finale. Sulla definizione di “derby più importante della storia” si potrebbe discutere. Ma fino ad un certo punto. Ci sono stati derby che, in premessa, avrebbero potuto mettere in palio una posta ancor più prelibata, è vero: nel campionato 2000/2001 le due squadre erano in lotta per il titolo con il ritorno disputato con la Roma prima in classifica e la Lazio in furiosa rimonta e con il vantaggio parziale di 2-0 i giallorossi avevano in tasca lo scudetto, poi la Lazio agguantò con Castroman all’ultimo minuto del recupero un incredibile 2-2 ma, a conti fatti, non servì comunque e il tricolore cambiò sponda cittadina; nel 2009/2010 il match di ritorno si giocò in un clima, se possibile, ancor più arroventato perché la Roma si giocava il campionato con l’Inter mentre la Lazio era in piena zona retrocessione e la vittoria in rimonta per 2-1 della squadra di Ranieri sembrava in grado di sfornare un doppio verdetto, ma poi non fu così, causa il suicidio interno della Roma con la Samp e la salvezza comunque raggiunta dai biancocelesti del subentrato Reja. Quindi, non si trattò di incontri decisivi. Qui, sarà diverso: un vincitore dovrà esserci per forza e, per la prima volta nelle reciproche storie, con un trofeo in palio. Ma, tornando alle vicende di ieri, la Roma è sembrata far di tutto per scongiurare l’epilogo cittadino. Un’ora abbondante di abulia, apparentemente frutto di sufficienza, in realtà figlia di tanta paura. Giocare per un obiettivo che può mutare i destini di un’annata altrimenti fallimentare e, per di più, con i favori del pronostico, non era cosa semplice e il fardello sulle spalle molto pesante. Per quasi un’ora una rabberciata Inter (rottosi pure Cambiasso nel riscaldamento: pioggia torrenziale su un terreno già bagnatissimo) offriva una resistenza commovente a trovava anche la rete-qualificazione proprio grazie al sostituto del centrocampista argentino, il brasiliano Jonathan, autore di una splendida rete al culmine di una doppia triangolazione con protagonista anche l’ex laziale Rocchi. Prima e dopo, un superbo Handanovic abbassava la saracinesca sui tentativi di Florenzi e Destro. Un andamento dal sapore della beffa. Ma per cambiare spartito è stato sufficiente che la Roma cominciasse a fare la cosa più semplice del mondo: giocare a pallone. Non è stato neanche necessario fare la faccia cattiva e le ultime vestigia nerazzurre (a proposito: un grande in bocca al lupo a Stramaccioni, ne avrà molto bisogno) si sono sciolte come neve al sole. L’Inter chiudeva persino con tre primavera in campo: Benassi, Forte e Belloni. A proposito di giovani promesse, un destino crudele che si è divertito prima a dare e poi a togliere, è stato proprio un ex mai troppo rimpianto del vivaio nerazzurro (nelle cui fila aveva vinto anche un Viareggio nel 2008 facendo tandem in attacco con un certo Balotelli…), Mattia Destro, a siglare, in rapidissima successione, prima il pari-qualificazione e poi il raddoppio. Il giovante attaccante giallorosso, alla prima apparizione dal primo minuto dopo il brutto infortunio patito con la Fiorentina a gennaio ( nel derby aveva giocato solo parte della ripresa), ha poi rilasciato una dichiarazione solo apparentemente distensiva: “Rabbia per la cessione? No, ma sono stati loro a volermi dar via, quindi giusto che abbia segnato io. Sono stati i gol più belli della mia carriera”. Della serie, chi la fa l’aspetti, insomma. E in casa giallorossa tutti sperano che di altre reti pesanti ne seguano molte altre. Poi, a chiudere un conto addirittura troppo salato per i milanesi, ci pensava uno straripante Torosidis, protagonista di un secondo tempo da inesauribile stantuffo sull’out destro, con una perfetta palombella a far stappare le bottiglie di champagne. Il 2-3 di Alvarez, complice una dormita colossale della difesa e uno Stekelenburg in versione statua di sale, serviva solo per le statistiche e per rintuzzare i cori di una S.Siro nerazzurra nostalgica dello Special One. Ovviamente soddisfatto Andreazzoli che, però, non ha mancato di sottolineare le mancanze del primo tempo: “E’ fastidioso, dava l’impressione che fossimo una squadra priva di energie, idee, di tutto. Non era un problema fisico ma di approccio alla gara. Come a Torni, è servito uno schiaffone per darci la sveglia. E’ strano: ti spegni dieci minuti e ti complichi la vita”. Stramaccioni, invece, è stato quasi disarmante nell’ammettere che: “Alla fine non posso che fare i complimenti e applaudire i miei calciatori per l’impegno che ci hanno messo. Non voglio palare di me e del mio futuro, anche se so che da ora in poi terrà banco solo il toto-nome del mio successore. Deciderà la società. Io posso solo elogiare i miei che hanno dato tutto e fatto un primo tempo ottimo per poi calare, come era fisiologico fosse, nella ripresa. La Roma, comunque, ha meritato”. La finale, per il momento, è confermata per domenica 26 maggio: una decisione che la Lega Calcio sta difendendo strenuamente, ma che non appare così felice, vista la concomitanza con le elezioni amministrative che costringeranno le forze dell’ordine agli straordinari. Impossibile anche un anticipo al sabato, visto che è già in programma la finale di Champions. Anche sull’orario il dibattito è acceso: il Prefetto aveva tuonato “Mai più un derby di Roma alla sera!”, ma in Rai non piace l’idea di giocare alle 15. Possibile un compromesso all’italiana che metta tutti d’accordo per le 18. Anche sulla vendita dei biglietti si preannunciano problemi: le due tifoserie hanno diritto ad un numero identico di biglietti ma, se per la suddivisione di curve e distinti non ci sono dubbi, le tribune non consentono di rispettare una perfetta suddivisione. Gli incubi di Viminale e Prefettura stanno già prendendo forma. Ultima nota a margine, ad ulteriore riprova dell’eccezionalità dell’evento: è solo la terza volta nell’intera storia della Coppa Italia che ad accedere all’atto conclusivo siano due formazioni della stessa città: era già accaduto nel 1938 quando la Juventus prevalse sul Torino con un doppio successo ( 3-1 e 2-1) e nel 1977 quando il Milan sconfisse per 2-0 i cugini interisti.
D.P.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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