“Maracantazo” titola “Marca” con un efficace gioco di parole che richiama alla mente lo sciagurato “Maracanazo” del 1950. E non c’è sintesi migliore per sottolineare una delle immagini più belle di questa Confederations Cup dalle mille contraddizioni, proprio come il paese che l’ha ospitata. Canti, balli sulle tribune, giocatori che festeggiano con tamburi a ritmo di samba in mezzo al campo. Molotov fuori. Al momento, il bollettino di guerra parla di altri 16 feriti, tra infestanti e forze dell’ordine, alle porte del Maracanà. Sugli spalti, invece, lo spettacolo di un pubblico, finalmente riconciliatosi con la Seleçao, che ha cantato a squarciagola le parole dell’inno nazionale anche quando la banda aveva terminato l’esecuzione. Una performance “a cappella”, già sperimentata nella semifinale scacciafantasmi con l’Uruguay, degna dei Neri per Caso. Sul rettangolo verde, poi, si è assistito a ben altro tipo di spettacolo pirotecnico con un Brasile tanto arrembante da sembrare molto poco brasileiro impegnato a demolire una spenta Spagna per 3-0. Una gara a senso unico, terminata, di fatto, al 10’ della ripresa, quando Sergio Ramos, inspiegabilmente prescelto per gli 11 metri, che spediva fuori il rigore del possibile avvio di remuntada. La certificazione dello stato confusionale e della stanchezza che ha offuscato le idee agli uomini di Del Bosque. La battaglia di 120 minuti con gli azzurri e il giorno in meno di riposo non potevano essere senza conseguenze. Ma non basta a spiegare il massacro calcistico cui si è assistito. E non renderebbe giustizia a una partita che il Brasile ha interpretato nell’unico modo possibile per anestetizzare il tiki taka: stessa feroce determinazione messa in campo dall’Italia ma con una qualità individuale e una precisione sotto porta di categoria superiore. La via, in realtà, l’aveva già tracciata il tanto vituperato (ma solo a Madrid) Mourinho con il suo Real che, dopo aver subito rovesci anche imbarazzanti dai blaugrana di Guardiola, aveva trovato il giusto antidoto al palleggio ossessivo dei catalani. Strada percorsa quest’anno anche dal Bayern, in grado più ancora dei blancos, di coniugare fisicità e ritmo elevato con la tecnica individuale. Scolari ha dovuto solo fare copia/incolla. Facile, quindi? Neanche per sogno. Soprattutto se si siede su una delle panchine più scomode e calde del pianeta dove ti si chiede non solo di vincere, ma anche di stravincere e di farlo dando spettacolo. Possibilmente tocchettando a ritmo di samba. Il tutto disponendo di giocatori tradizionalmente refrattari a dogmi tattici e poco avvezzi al pressing feroce. Questo il merito principale di Felipao che, da uomo pratico e d’esperienza qual è, ha dovuto lavorare a lungo sulla testa dei suo. E non è un merito da poco. Il suo Brazil-Bayern ha aggredito con un’intensità spaventosa i malcapitati iberici sin dal fischio iniziale di Kuipers. Certo, i padroni di casa hanno visto semplificato il compito dal gol di Fred dopo neanche due minuti ma basta rivedere l’azione per capire lo spirito guerriero con cui la gara è stata approcciata. Palla sradicata, contrasti vinti, Hulk (mai troppo amato qui) che si fa largo a suon di fisico e mette in mezzo dove si lanciano sul pallone in tre ma, alla fine, a prevalere è sempre e solo lui: Fred (anche lui imposto da Scolari a dispetto della critica). Arbeloa, Ramos e persino Casillas apparsi con i riflessi di bradipi stanchi. Palla dentro. Samba sulle tribune. In campo, invece, tantissima maschia energia e ritmo da calcio inglese. Spagna incapace di imbastire trame da più di due-tre passaggi di fila. Mai visto. Brasile che recita a memoria il mantra del suo tecnico: aggressione già sul primo portatore di palla altrui (a volte persino ai limiti del regolamento come testimoniato dal richiamo verbale di Kuipers a Oscar per frenarne l’impeto nella ricerca della palla/caviglia), riconquista rapida della sfera, rinuncia sistematica al fraseggio in orizzontale e subito verticalizzazione per innescare Neymar e soci là davanti. Per la prima volta da tempo immemore, la Spagna, a lungo anche al 38%, non sfonda il muro del 55% di possesso palla. Iniesta e Xavi, le fonti del gioco spagnolo, inaridite. Torres, commovente per l’impegno, lasciato solo. Il 4-2-3-1 del Brasile garantisce molta densità in mezzo al campo e quasi sempre superiorità numerica. Il punteggio potrebbe essere arrotondato in più di un’occasione da Oscar (finalmente all’altezza), Paulinho (Casillas si salva dal cucchiaio velenoso con l’aiuto della traversa) e di nuovo Fred (manda, di prima, sul portiere). La Spagna si fa vedere solo con Iniesta da fuori e poi con Pedro la cui conclusione a botta sicura è salvata sulla linea da David Luiz. E proprio mentre il Brasile sembra rallentare per riprendere fiato e tutti si chiedono come potranno mai i ragazzi in verdeoro mantenere questi ritmi nella ripresa, ecco la gemma di Neymar in chiusura di frazione: Soplendido il gioco di gambe con cui la nuova stella del Barcellona si toglie dal fuorigioco prima di fiondarsi sul pallone per poi incenerire Casillas. E’ vero, al Brasile è andato bene tutto quanto poteva andare bene, a partire dai minuti delle segnature: all’inizio, in prossimità dell’intervallo a tagliare le ginocchia ai già storditi rivali e alla ripresa. Infatti, dopo soli due giri di lancette, è ancora Fred a impallinare con una rasoiata da biliardo il povero Casillas, sfruttando la pressione di Hulk, Marcelo e Oscar e un meraviglioso velo di Neymar. Non a caso eletto miglior giocatore della manifestazione. Per la tendenza alla caduta facile ci sarà tempo per lavorarci su. Quindi, l’occasione che non ti aspetti: Marcelo, tanto impetuoso, veloce, fisico e anche tecnico, quanto non sempre lucido nelle scelte, commette un’idiozia sul neo entrato Jesùs Navas. Ma della sciagurata esecuzione di Ramos abbiamo già detto. Di lì in poi ancora tanto Brasile che potrebbe ulteriormente arrotondare con Hilk e Jo, mentre Julio Cesar fa fischiare le orecchie a tutti coloro che lo ritenevano in declino con due prodigi su Pedro e Villa. Tripudio finale. Non sarà stato il 4-0 inflitto al Bayern dal Barcellona ma la dimostrazione di superiorità fornita da questo Brasile europeo come non mai è stata persino più evidente.
E una piccola quota di merito sul quarto successo verdeoro in Confederations ce la vogliamo ascrivere noi: la nostra tenacia gli ha consegnato una Spagna veramente fiaccata. E questo deve dare la misura dell’impresa atletica, più che tecnica compiuta dai nostri reduci (mancavano, oltre a Balotelli ed Abate, anche Pirlo, Barzagli, Marchisio e, sia pure solo dall’inizio, Giaccherini) contro l’Uruguay a Salvador de Bahia nella finalina. A prposito, a quando la cancellazione di questi inutili supplizi? All’improponibile ora di pranzo brasileira, siamo scesi in campo contro una squadra che, già forte di suo, aveva tutti i suoi titolari in campo oltre a 24 ore in più di riposo. Un primo tempo condotto alla grande con il vantaggio di Astori, propiziato da una punizione velenosa di Diamanti su cui Muslera fa un pasticciaccio non brutto ma di più. Poi, in verità, da lì in poi, moltissima Celeste e pochissima Italia. Ma non ne avevamo veramente più. Cavani ci infilava in avvio di ripresa imbeccato da un Gargano che recuperava un pallone molle di Maggio. E qui il timore prendere l’imbarcata cresce. Buffon si esibiva in un doppio numero circense su Forlàn, quindi, nell’unica capatina offensiva dei nostri, eccoti la punizione sulla mattonella giusta. Quella di Diamanti che buca ancora un Muslera stavolta esente da colpe. Manca poco più di un quarto d’ora. In condizioni normali si potrebbe pensare ad amministrare il possesso del pallone. Ma qui di normale c’è ben poco. La scarsa lucidità costa una punizione dal limite. Cavani fa la sola cosa che può fare da lì: tirare una fiondata dritto per dritto. Buffon è lento. 2-2 e di nuovo in trincea. I supplementari si abbattono sui nostri come una sentenza di condanna. Ci salva in un paio d’occasioni l’arbitro, l’algerino Haimoudi, che nega due rigori, prima a Godìn e poi a un fastidioso (in tutti i sensi) Suarez. Ma non può esimersi dal mostrare il secondo giallo a Montolivo. Suarez, Cavani e Gargano sfiorano il 3-2. L’Uruguay, più fresco e motivato, lo meriterebbe pure. Ma tant’è, ci guadagniamo l’ennesima partecipazione alla lotteria della nostra storia. Ma, stavolta, Buffon si traveste da Superman e Forlàn (al secondo errore di fila dopo quello, sanguinoso, con il Brasile), Càceres e Gargano non trovano la kriptonite dal dischetto. L’errore di De Sciglio serve solo a non farci dimenticare il nostro destino di sofferenza. Terzo posto e agognato biglietto aereo di ritorno in tasca. Torneremo a fare la sauna il prossimo anno.
Daniele Puppo
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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